«Il tempo delle riforme è adesso». Matteo Renzi alla direzione del Pd alza l’asticella, «dobbiamo avere la forza non soltanto di andare avanti, ma di raddoppiare, tornando al mitico Mike Bongiorno, non è il momento di lasciare ma di raddoppiare». Soprattutto adesso che gli italiani hanno in- vestito il Pd con il 40,8% dei voti a guida- re il processo di cambiamento qui e in Eu- ropa: «Il 40% è un accidente della storia, un colpo di fortuna o un obiettivo stabile?». Per il segretario deve diventare una realtà stabile, quell’approdo a cui pensava Walter Veltroni quando diede vita al Pd.
È un treno in corsa il presidente del Consiglio e chiede a tutto il partito di saltare su perché la meta si raggiunge insieme. Non è un caso che prenda le distanze dalle letture perfide di chi ha visto nella foto della notte storica al Nazareno la salita sul carro di tutti, minoranza compresa. «Oggi che ha vinto il Pd è bellissimo pensare che quella foto di gruppo è la foto di un partito che tutto insieme adesso avverte questa responsabilità di dover combattere in Europa e contemporaneamente continuare il cambiamento in Italia». Perché questo è il tempo di una fase nuova, il Pd deve poter incarnare quell’idea di «partito della nazione» che, dice Renzi, «ha raccontato Alfredo Reichlin su l’’Unità», e la partita oggi è una: «Definire se vogliamo metterci la residenza in questo 40% o limitarci a vivere la soddisfazione dell’istante». Ovviamente la seconda opzione non è sul tavolo, il segretario intende far ripartire immediatamente il processo delle riforme perché di quel 40% vuole farne un capitale solido su cui fondare la vocazione maggioritaria appena riscoperta dal suo partito.
E dal Nazareno, in maniche di camicia, traccia la road map, fitta, serrata: prima di tutto il lavoro, «la madre di tutte le battaglie» e annuncia il passo avanti sul ddl delega, perché è alla riforma del mercato del lavoro che guardano più che «i mercati internazionali, i potenziali investitori, mai come ora c’è uno sguardo di attenzione verso l’Italia. Guai a noi se manchiamo l’occasione anche perché il problema del lavoro tocca tutte le famiglie italiane». Ma già nel prossimo Cdm del 13 giugno sarà affrontata la riforma della Pubblica amministrazione, «uno o due atti normativi»; una campagna di ascolto degli insegnati; la riforma dell’agricoltura e, prima dell’estate la legge elettorale, l’Italicum e il superamento del bicameralismo perfetto. «Agli altri adesso è passato la voglia di andare a vota- re, noi non siamo in ansia da prestazione», dice il segretario ma è chiaro che il Pd non avrebbe alcun problema a torna- re al voto adesso se dovessero saltare le riforme. Un’arma che Renzi non intende usare ma mettere sul tavolo quando si tratterà di arrivare alla stretta finale. «Nessuna campagna acquisti in Parla- mento», in questa fase, ma partita aperta: chi ci sta venga al tavolo e voti le nostre proposte. Evidente il riferimento a quella parte di Sel che ora si interroga sul futuro in vista delle politiche che prima o poi arriveranno e ai dissidenti del M5s.
Non è la direzione dei festeggiamenti post elettorali, di sicuro è la più rilassata, ma Renzi ripete qui quello che ha detto la notte dello spoglio: non c’è tempo di festeggiare, gli italiani adesso più di prima si aspettano risultati. «Non siamo automi anaffettivi», spiega, «ma trasformiamo la gioia di questo momento in responsabilità. Se non lo fa il Pd non lo fa nessuno».
Cambiare l’Italia e cambiare l’Europa, questo resta l’obiettivo dei democratici, «tutti noi siamo convinti che le misure che l’Europa ha attuato in questi ultimi anni sono figlie di una difficile situazione finanziaria. Questa risposta data dall’Europa non è sufficiente rispetto alle attese dei cittadini europei» e per questo il premier non intende avviare a Bruxelles la discussione sulle poltrone ma quella sulle direzioni che l’Ue si vuole dare. «Se l’Europa non cambia è un problema» e solo il Pd, «primo partito in Europa», può essere la guida di questa inversione di tendenza. La stoccata a Beppe Grillo arriva proprio mentre il M5s si diliania sull’ultima decisione del leader, abbracciare Farage, antigay, antieuro, anti-immigrati. «In streaming si fanno di dibattiti, poi a trova- re i leader populisti inglesi si va di nascosto», dice Renzi convinto che quell’incontro non sia nato nel giro di 24 ore.
IL PARTITO
La pax renziana si regge sulla gestione unitaria del Pd, «abbiamo una resposanbilità che colta in pieno e non va immiserita negli scontri interni», dice, quindi se la gestione unitaria ci sarà non sarà «un tentativo di utilizzare schemi vecchi o spartizioni correntizie, ma un tentativo di corresponsabilizzazione, chiariti gli obiettivi» e «le persone che ci vogliono stare ci stanno». Ma un partito che ha puntato sul ricambio generazionale adesso deve fare anche un altro passo che pesca nel passato eppure resta il più efficace: una scuola di partito, o che dir si voglia «di formazione politica» dove si impari sì il diritto amministrativo, ma anche «un racconto da esprimere all’esterno». Strumenti tradizionali, dunque, «ma anche le reti tv americane» che al premier piacciono tanto, a partire da «House of cards».
L’Unità 30.05.14