Un Paese in stallo, dove la recessione lascia sul tappeto 6,3 milioni di persone senza lavoro. Il Rapporto Istat 2014, presentato dal presidente Antonio Golini, fotografa un Paese che ancora non riesce a ripartire, ed è sempre più frammentato: il Sud aumenta ulteriormente la distanza dal resto del Paese, la disuguaglianza rimane consistente, la povertà aumenta, solo il 30% delle imprese negli ultimi due anni ha migliorato occupazione e fatturato, l’occupazione femminile migliora, ma solo perché servono più baby sitter e badanti per supplire alla cronica inadeguatezza dei servizi sociali. E l’Istat informa che ci vorrebbero 15 miliardi per ridurre la povertà.
Dall’inizio della crisi, l’occupazione ha conosciuto solo il segno meno, e nell’ultimo anno il calo è stato ancor più marcato: nel 2013 l’occupazione è diminuita del 2,1% (-478mila). In 2,3 milioni di famiglie lavorano solo le donne. Tra disoccupati (3 milioni e 113mila) e persone che sarebbero disposte a lavorare (3 milioni e 205mila) nel 2013 si contano 6,3 milioni di «potenzialmente impiegabili», uno spreco di risorse colossale che riguarda soprattutto i giovani. Tra il 2008 e il 2013 sono usciti dal mercato del lavoro 1.803.000 giovani tra i 15 e i 34 anni: il loro tasso di occupazione corrispondente è sceso di 10 punti, dal 50,4% all’attuale 40,2%. Nel 2013 i giovani che non lavorano né studiano (Neet) sono arrivati a 2,4 milioni, oltre mezzo milione in più rispetto al 2012. Come diretta conseguenza, nel 2012 sono stati oltre 26mila i giovani che hanno lasciato l’Italia, 10mila in più rispetto al 2008. In totale, ad andarsene negli ultimi cinque anni sono stati 94mila. Vanno nel Regno Unito, in Germania e in Svizzera, oppure, fuori dall’Europa, negli Stati Uniti e in Brasile. Se ne vanno anche gli over 34enni: nel 2012, 68mila persone, il numero più alto degli ultimi dieci anni, cresciuto del 35,8% rispetto al 2011. E nel frattempo la natalità è ai minimi storici: nel 2013 le nascite sono state poco più di 500mila. Tra l’altro, anche i migranti preferiscono altre mete: tra il 2007 e il 2012 i loro arrivi sono calati del 27%. Le prospettive non appaiono rosee: secondo l’Istat, il Pil tornerà a crescere dello 0,6% quest’anno e dell’1% nel 2015. Il governo cercherà di arginare la tendenza. Come dice il ministro all’Economia Pier Carlo Padoan: «Stiamo prendendo misure che produrranno lavoro in maniera crescente nei prossimi trimestri – L’occupazione è l’attuale priorità del governo. Purtroppo la crescita stenta ma si rafforzerà e quindi una combinazione di crescita più sostenuta e misure di riforma strutturale del mercato del lavoro produrranno più posti di lavoro».
Il fatto è che la mancata crescita limita molto anche gli effetti delle manovre di contenimento del debito pubblico. Ed è a sua volta causata anche da una scarsa produttività. Le due cose insieme hanno controbilanciato negativamente gli effetti delle manovre fiscali da 182 miliardi attuate dai governi negli ultimi tre anni, e su cui si sono concentrate le poche risorse disponibili: «Il nostro è stato l’unico Paese della Ue a non aver attuato nel complesso politiche espansive», scrive l’Istat.
Ormai spendono solo i pensionati. La contrazione dei livelli di consumo delle famiglie si è verificata nonostante l’ulteriore diminuzione della propensione al risparmio (11,5%) e il crescente ricorso all’indebitamento: nel 2012 le famiglie indebitate superavano quota 7%. Tra il 2007 e il 2013 il potere d’acquisto è sceso del 10,4%, nel 2013 però la caduta è solo dell’1,1%, grazie a un modesto aumento dello 0,3% del reddito disponibile. Ma il 2013 potrebbe essere un anno di svolta, in cui la riduzione dei consumi risulta superiore a quella del reddito. Tra il 2007 e il 2012, rileva l’Istat, solo i pensionati hanno conservato livelli medi di consumo mensile positivi, «grazie alla sicurezza fornita dai redditi da pensione».
La crisi ha accresciuto anche i divari territoriali. Il Sud è diventato sempre più povero, per la cronica mancanza di lavoro. Infatti il tasso di occupazione maschile è sceso al 53,7%, oltre 10 punti più basso della media nazionale. Quanto alle donne, lavora una su tre. Campania, Calabria, Puglia e Sicilia presentano valori del tasso di occupazione femminile pari a meno della metà di quello della Provincia di Bolzano. Le famiglie in cui non è presente alcun occupato al Sud sono passate dal 14,5% del 2008 al 19,1% del 2013. Non solo il rischio di povertà è molto più alto che nel resto dell’Italia, ma la mancanza di prospettive per i giovani ne favorisce l’esodo, per cui il Mezzogiorno sta anche invecchiando più rapidamente del resto d’Italia.
L’Unità 29.05.14