attualità, politica italiana

"Riforme prima dell’estate. Si parte da lavoro e burocrazia", di Fabio Martini

Era stata una battuta molto lusinghiera, quella che Barack Obama aveva usato con Matteo Renzi in un colloquio a tu per tu due mesi fa e, per la verità, il ciarliero presidente del Consiglio non l’ha mai propalata. Disse il presidente degli Stati Uniti, sui divani di Villa Madama: «Matteo, tu puoi diventare un modello in Europa». Quella frase impegnativa deve essere tornata alla mente di Renzi in queste ore, adesso che il premier – forte di un mandato popolare impetuoso – vede aprirsi davanti a sé un orizzonte arioso. Come spendere questo bonus, questo surrogato europeo che lo ha finalmente legittimato a palazzo Chigi? In queste ore, chiacchierando con i suoi collaboratori più stretti – Graziano Delrio, Luca Lotti, Maria Elena Boschi – ha messo a fuoco e deciso il ruolino di marcia da qui alla pausa estiva di inizio agosto. Tre missioni ben scandite e che si possono riassumere in una espressione che Renzi non ha usato, ma che le racchiude: diventare il presidente di tutti.

Un profilo che, ieri durante la conferenza stampa a palazzo Chigi, per la prima volta Renzi ha assecondato: nel suo completo grigio ferro e con le sue parole di comprensione per tutti, per Berlusconi, per i parlamentari cinquestelle e persino per Beppe Grillo. E rimuovendo qualsiasi trionfalismo, ha sublimato questo aplomb ecumenico con una battuta: «Basta con quell’atteggiamento di superiorità della sinistra verso chi la pensa diversamente». Una battuta che, senza citarlo, ha alluso all’intoccabile Enrico Berlinguer che, a suo tempo, teorizzò la superiore diversità dei comunisti.

Nella stagione che si è aperta ieri la prima mission decisa da Matteo Renzi è quella di provare a stringere un asse dentro il partito, con una pacificazione con la minoranza e la nomina di un presidente di quella area. Seconda missione, le riforme: «il cambiamento che abbiamo promesso deve arrivare in tempi ancora più veloci di quelli che avevamo immaginato» e dunque «accelerazione» su tre riforme chiave (Pubblica amministrazione, lavoro, Senato), aperte al contributo di tutti, «anche dei parlamentari del Cinque Stelle». Con una possibile pausa di riflessione (ma non sine die e comunque non dichiarata esplicitamente), sulla legge elettorale.

Terza missione: un ruolo protagonista della «nuova» Italia in Europa. Nella partita delle nomine in vista per i vertici europei, Matteo Renzi non intende rivendicare poltrone per l’Italia e per il Pd primo partito del Pse, ma comunque vuole far valere la «golden share» all’interno del Partito socialista europeo, facendo valere nella trattativa con i capi di governo una realtà fino a pochi mesi fa inimmaginabile: il Pd, assieme alla potente Cdu tedesca, è diventato il partito-leader all’interno della Ue. Tre missioni che spostano al 2018 l’«orizzonte» del governo, in questo modo soffocando (almeno per ora) ogni tentazione del premier verso le elezioni anticipate.

Il «nuovo» Renzi ha cominciato a vedersi in azione due notti fa. Appena è diventato chiaro il trionfo elettorale, il presidente del Consiglio è entrato nel suo ufficio nella sede del Pd, ha lasciato le porte aperte, consentendo a tutti, anche a quelli della minoranza, di entrare, mischiandosi in un’unica squadra. E infatti Renzi, più tardi, ha detto in conferenza stampa: «Mi ha fatto piacere vedere al Nazareno un gruppo dirigente, c’era una foto di gruppo». Gesto simbolico che prelude all’offerta della presidenza a Gianni Cuperlo? O si glisserà su soluzioni, la parlamentare Valentina Paris, meno impegnative? Una cosa è certa: alla minoranza non saranno offerti incarichi pesanti, come l’organizzazione o gli enti locali.

A Renzi stanno a cuore tutte le riforme, una in particolare. Quella del lavoro «va accelerata» con l’approvazione del ddl delega perché «su questo punto giochiamo larga parte della nostra credibilità internazionale». In compenso, sapendo che il terremoto del 25 maggio è destinato a rallentare il passo della legge elettorale, Renzi ha intenzione di rialzare l’asticella su tutte le altre riforme, a cominciare da quella del Senato. Perché come ha confidato lui stesso, il boom elettorale ha messo nelle sue mani, una pistola spenta che può diventare fumante in qualsiasi momento: basta minacciare i riottosi con la prospettiva delle elezioni anticipate. Uno scenario che per gli avversari del Pd, da due giorni, è diventato uno spettro.

La Stampa 27.05.14