«Siamo il primo partito socialista d’Europa. Se vogliono fermare il populismo dovranno ascoltarci anche a Bruxelles». Col 41 per cento e Grillo dietro di 20 punti «è un risultato storico». All’una e 42 il suo tweet certifica la vittoria: «Commosso e determinato adesso al lavoro per un’Italia che cambi l’Europa. Grazie #unoxuno. @pdnetwork #senzapaura».
Sembrano tutti ubriachi al Nazareno. Hanno un sorriso stampato sulla faccia. Sono tantissimi, tutta la nuova generazione, attraversando le correnti. Fermano l’immagine, nella grande sala della direzione, in una foto che resterà rinnovando definitivamente l’album di famiglia della sinistra. C’è il nucleo storico renziano. Orfini e Stumpo, Fassina e Speranza. Le giovani donne del nuovo Pd. Restano a casa D’Alema, Bersani, Bindi, Veltroni, che oggi vede polverizzato l’ottimo risultato del 2008. Ma non scorre champagne nella stanza del segretario. Solo acqua. Con l’eccezione del portavoce di Renzi, Filippo Sensi, che stappa una bottiglia grande di Coca Zero, il suo doping, e offre nei bicchieri di plastica.
QUANDO sugli schermi tv scorrono le prime proiezioni e c’è il “4” davanti alla doppia cifra del Partito democratico, Renzi è ancora nella sede del governo. Adesso è il momento di correre al Nazareno, di festeggiare con gli altri. «Mi sono tolto anche un peso. Si capisce meglio quello che è successo con il governo Letta. Perché abbiamo dovuto accelerare, perché non potevamo rimanere fermi», dice. Il Pd sarebbe arrivato secondo, spiegano i suoi fedelissimi. Il 30 per cento sarebbe diventato una chimera, il 40 un pronostico impossibile. Invece le riforme, gli 80 euro, gli annunci e la promessa di cambiare l’Italia hanno scosso l’elettorato, la sinistra, i fuoriusciti del centrodestra che non hanno più avuto bisogno di transitare dai 5stelle per trovare una nuova casa. La lunga giornata, trascorsa quasi tutta a Pontassieve, può alla fine trasfigurarsi in una celebrazione. Con l’avvertenza di Renzi: «Servono ancora umiltà e lavoro», si raccomanda. Ma il consenso al governo e quello personale è arrivato in maniera sorprendente per tutti. «Non penso affatto a elezioni anticipate. Il 2018 è il nostro obiettivo».
Facendo un passo indietro, si va nel cuore della Toscana. Poche ore prima che tutto accadesse. Dietro il muretto di cinta dell’abitazione del premier. Tappeto elastico, rete da pallavolo ribassata, mini porta da calcetto, due palloni di cuoio. Questo sul prato. Un tavolo da ping pong nella parte lastricata. È la parte esterna della villetta di Pontassieve, una delle prime che si incontrano salendo verso la collina, verso il classico paesaggio toscano: il verde intenso, i cipressi, il bosco in cima. Tutti possono dare una sbirciata, non c’è bisogno di arrampicarsi. Basta mettersi in alto sulla strada, non ci sono barriere. All’una il premier rientra a casa con la sua auto. La moglie Agnese ha in mano un dolce gelato comprato in pasticceria. Al capo scorta Renzi dice: «Ci vediamo alle otto e torniamo a Roma. Sto qui tutto il pomeriggio». Il paese ripiomba così nella quiete domenicale. Fuori dalla villa rimane un auto civetta dei Carabinieri. Gli agenti della sicurezza vanno a mangiare al ristorante. Il cancello
automatico si chiude. La vicina di fronte, quando le telecamere finalmente mollano l’osso, esce in giardino a curare le sue magnifiche rose, al massimo della fioritura.
Dura appena un paio d’ore il trambusto discreto che accompagna il voto del premier, il suo piccolo giro in centro, la messa alla parrocchia di San Giovanni Gualberto, dalla parte opposta della villetta del premier, nella zona bassa del paese. Alle 11 e 10 Renzi si presenta alla scuola materna ed elementare Edmondo De Amicis. Lo aspettano una sessantina di persone, famiglie al completo con i nonni, i bambini sulle loro bici che non vedono l’ora di fare qualche impennata in santa pace. «Hai votato Grillo?», chiede un piccolo col casco alla nonna. «Ma che sei matto. Ho votato Renzi. Come ti viene in mente Grillo?». Dalle scale scende una coppia di anziani che ha appena deposto la scheda. Lui, politologo, prevede: «Tra un anno torniamo qui per votare di nuovo». Arriva Renzi. Jeans e camicia bianca. Stessa tenuta per la moglie. Dalla sua canottiera bianca ricamata spuntano lunghe braccia già abbronzate. I tre bambini seguono i genitori senza fare storie. Una perfetta first family , in una provincia paradisiaca, a 30 chilometri da Firenze ma protetta da una rete di comunità vera.
Renzi appare tranquillissimo, anche se si gioca molto in questo voto. Quasi tutto. La legittimazione, le riforme, la stabilità del governo, il peso in Europa del Pd mentre dappertutto i socialisti arrancano o tengono a fatica. Le spalle contratte mostrano però la tensione dell’attesa. Annuncia che non farà dichiarazioni ufficiali. «Non mi fido degli exit poll, si dicono un sacco di bischerate commentando quei dati. Anche a Guerini ho detto di stare attento ai commenti. Sapremo qualcosa di attendibile alle due di notte». Il premier perciò usa l’arma della prudenza. Dissimula una serenità assoluta, che si sposa con l’ambiente di Pontassieve. Dà cazzotti piuttosto forti sul petto agli amici come forma di saluto, stringe le mani ai vecchietti, si mette in fila al seggio accanto alla candidata sindaco del Pd Monica Marini, una non renziana. S’informa, scruta i movimenti dei rappresentanti di seggio, vede il candidato 5 stelle Simone Gori e si fa confermare che sia proprio lui dalla Marini. Il figlio di mezzo ha un’informazione importante: «È il papà di un mio amichetto ». «Quale?», chiede subito il padre. Qui alla scuola ci sono tutti i principali concorrenti delle comunali. Marini, Gori che ha una “mosca” brizzolata, Alessandro Borgheresi (Forza Italia). Renzi parla con tutti, si informa, alla fine entra e vota sotto i flash dei fotografi. Ma la sua partita è più grande di Pontassieve. E nella notte arriva una vittoria dalle dimensioni davvero storiche. Una clamorosa prima volta della sinistra italiana.
La Repubblica 26.05.14