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"La Ue tra europeisti ed eurodelusi", da L'Unità

L’incoerenza avrebbe giocato un brutto tiro a Geert Wilders, il campione olandese del populismo xenofobo e anti-europeo. I sondaggi lo davano in testa ma secondo gli exit poll (nei Paesi Bassi si è votato giovedì – 26 i deputati da eleggere) non sarebbe andato oltre il terzo posto: solo un terzo dei potenziali elettori del Partij vor de Vrijheid (partito per la libertà) sarebbe andato alle urne. Era stato proprio Wilders a dire che lui il parlamento europeo lo vorrebbe sciogliere e tanti giustamente si devono esser chiesti perché andare a votare per qualcosa che si vuole far sparire. Conforta l’idea che gli insulti di Wilders ai «marocchini» di tutte le nazioni e le campagne per bandire le moschee non abbiano sfondato come si temeva. I partiti tradizionali, il liberale Vvd del premier Mark Rutte, i laburisti e i cristiano-democratici sono sulla difensiva e con il vento in poppa parrebbero esse- re solo i liberali di sinistra di D66 e i socialisti, molto critici verso le politi- che di Bruxelles. Ci si chiede quanto Wilders e i suoi potranno contare sulla forza dell’alleanza con Marine Le Pen. Uno studio ha messo in luce, giorni fa, la profondità delle differenze esistenti tra i due astri della nuova destra europea. Nel parlamento uscente hanno quasi sempre votato diversamente.

REGNO UNITO (73 DEPUTATI)

Anche la Gran Bretagna tenta la strada del populismo esasperato e della xenofobia. Nigel Farage, il leader dell’Ukip è convinto di avere ottenuto più voti di tutti nelle elezioni che si sono tenute giovedì scorso. Ma le prime indicazioni che sono venute dalle contemporanee elezioni amministrative paiono aver pesantemente ridimensionato le sue atte- se. Probabilmente ha fatto meglio dei conservatori del premier David Cameron e dei liberali, ma deve vedersela, però, con i laburisti, che gli exit polls indicano in testa alle amministrative. La campagna dell’Ukip ha avuto toni esasperati, specie sulla questione dell’immigrazione, agitata con lo slogan «We want our country back», ridateci il nostro Paese, riecheggiando il ce- lebre «I want my money back» di Margaret Thatcher. Con la sua aggressività verbale Farage si è trovato in sintonia con Beppe Grillo e fra i due ci sono stati scambi di simpatie. È difficile però che l’idillio abbia sviluppi politici. Farage è un ultra-liberista arrabbiato: troppo per l’ex comico genovese e forse anche per il guru Casaleggio.

AUSTRIA (18 DEPUTATI)

Gli ultimi sondaggi in Austria indicano una situazione di quasi parità tra i po- polari della Övp e i socialdemocratici della Spö. Al terzo posto dovrebbero piazzarsi i sedicenti «liberali» della Fpö, il partito che fu di Jörg Haider i cui deputati dovrebbero aderire al «gruppone» euroscettico guidato da Marine Le Pen e dall’olandese Geert Wilders. La Fpö ha dovuto rinunciare al suo capolista Andreas Mölzer travolto dalle polemiche per aver paragonato l’Unione europea al Terzo Reich e aver pronosticato all’Europa un futuro da «conglomerato di negri».

BELGIO (21 DEPUTATI)

Tutti i partiti belgi sono a favore della Ue, perfino il Vlaams Belang, il movimento secessionista e xenofobo che reclama la separazione delle regioni fiamminghe da quelle francofone e che ha aderito all’alleanza Le Pen-Wilders. La partecipazione elettorale dovrebbe essere molto alta, anche perché nel Paese vige l’obbligo legale al voto. Secondo i sondaggi, dovrebbe avere un buon successo la Nuova Alleanza Fiamminga (N-Va) di Bart De Wever, che reclama una maggiore autonomia delle Fiandre senza sostenere posizioni estremistiche come il Vlaams Belang.

BULGARIA (17 DEPUTATI)

In Bulgaria, che è il più povero tra i 28 paesi della Ue, è forte il consenso verso l’Unione, che è considerata l’unica chance per la crescita economica. Le elezioni europee vengono considerate un test per la popolarità del governo, formato attualmente dai socialisti e dal Movimento per i Diritti e le Libertà (Dps). Ci sono poi un partito di estrema destra, Ataka, che dovrebbe faticare a superare la soglia di sbarramento e una nuova formazione populista, nazionalista e xenofoba, guidata dall’ex giornalista televisivo Nikolaj Barekov accreditano intorno al 7%.

CIPRO (6 DEPUTATI)

Anche a Cipro vige l’obbligo di voto, ma i sondaggi dicono che alle urne si recherà una esigua minoranza: forse non più del 30%. La disaffezione trova spiegazione nelle vicissitudini della grave crisi bancaria attraversata dal Paese nella primavera dell’anno scorso e dall’elevatissimo livello di corruzione. Sarebbero in testa i Conservatori Democratici del premier Nikos Anastasiadis, seguiti dai comunisti del partito Akel e dai centristi.

CROAZIA (11 DEPUTATI)

La Croazia è entrata nell’Unione solo nel luglio dell’anno scorso, ma si registra nell’opinione pubblica un certo scetticismo verso l’Europa, accusata di fare troppa pressione perché Zagabria mantenga gli impegni presi al momento dell’adesione. Socialdemocratici e liberali si presentano in un’unica lista, anche se siederanno in gruppi diversi. I sondaggi li danno intorno al 30%, più o meno quanto ci si aspetta che prenda l’alleanza elettorale dei piccoli partiti di destra. Tra questi la formazione xenofoba del Partito del Diritto, ostile ai serbi. A sinistra ci sono un partito laburista e uno di ecologisti.

DANIMARCA (13 DEPUTATI)

I danesi sono tra i meno euro-entusiasti. Nel 2000 rifiutarono con un referendum l’ingresso nell’euro e nel 2011 l’allora governo conservatore reintrodusse i controlli di frontiera. Il governo di centrosinistra di Helle Thorning-Schmidt ha corretto in parte questo orientamento. Secondo i sondaggi si delineerebbe un testa a testa tra i socialdemocratici e il partito liberale Venstre, ma una spiacevole sorpresa potrebbe venire dal populista e xenofobo Partito popolare danese.

ESTONIA (6 DEPUTATI)

Come le altre Repubbliche dell’area, l’Estonia sta cercando faticosamente di recuperare i ritmi di sviluppo degli anni del «miracolo baltico», molte difficoltà attuali vengono attribuite dalla destra proprio a Bruxelles. L’opinione pubblica, comunque, vede nell’adesione alla Ue una garanzia contro eventuali revanscismi russi. Nei sondaggi, il Partito delle Riforme (liberale) e i socialdemocratici, che formano insieme il governo a Tallin, sono molto vicini.

FINLANDIA (13 DEPUTATI)

La novità politica della Finlandia è il partito dei Veri Finlandesi, formazione di destra che facendo campagna contro la strategia economica della Ue ha avuto una notevole affermazione nelle politiche del 2011 piazzandosi con il 19,1% solo un punto dietro al partito conservatore. Helsinki ha cercato di bloccare le politiche di salvataggio dell’euro e di impedire l’ingresso di Bulgaria e Romania nell’area di Schengen. Secondo i sondaggi, i conservatori, i liberali del Partito del Centro, i socialdemocratici e Veri Finlandesi sarebbero tutti intorno al 20%.

FRANCIA (74 DEPUTATI)

L’entusiasmo per l’Europa nell’opinione pubblica francese è un ricordo dei tempi andati. Molti attribuiscono le crescenti difficoltà economiche alle scelte compiute da Bruxelles e ciò ha dato uno spazio crescente alle posizioni populiste, anti-euro e anti-europee del Front National di Marine Le Pen. Secondo molti osservatori l’estrema destra potrebbe diventare il primo partito di Francia. Un risultato che potrebbe essere favorito dalla bassa partecipazione alle urne – potrebbe essere ad- dirittura inferiore al 40,6% del 2009. Marine Le Pen sta promuovendo con l’olandese Wilders la formazione di un gruppo anti-euro all’europarlamento.

GERMANIA (96 DEPUTATI)

La campagna elettorale è stata fiacca e gli unici spunti polemici sono venuti dalla Csu bavarese quando ha cercato di bloccare il libero ingresso nel paese di bulgari e rumeni. C’è comunque un certo interesse per Martin Schulz, il candidato alla presidenza della Com- missione dei Socialisti&democratici, che viene preferito a Jean-Claude Juncker, il candidato dei popolari, dalla maggioranza dei tedeschi, nonostante che la Cdu con il 37% delle intenzioni di voto sopravanzi nettamente la Spd, ferma al 27%. C’è attesa per il risultato che otterrà «Alternative für Deutschland», l’unico partito anti-euro che potrebbe arrivare al 7%. Quest’anno si voterà senza soglia di sbarramento dopo una sentenza della Corte costituzionale: secondo alcuni dovrebbe costituire un precedente per tutta l’Europa.

GRECIA (21 DEPUTATI)

Syriza, di Alexis Tsipras candidato alla presidenza della Commissione, potrebbe diventare il primo partito mettendo in serie difficoltà il governo conservato- re di Antonis Samaras, che rischia elezioni anticipate disastrose per il suo partito Nea Demokratia. Il sentimento popolare dei greci sulla Ue è fortemente condizionato dalle durissime scelte imposte dalla Trojka, ma nessuno dei partiti democratici chiede l’uscita dall’euro e dall’Unione. Syriza chiede profonde correzioni della politica di austerità. Un po’ ridimensionato il pericolo dei neonazisti di Alba Dorata, dati intorno al 7-8%, mentre un certo successo potrebbe avere, a destra, il partito To Potami, che ha fatto della lotta alla corruzione la propria bandiera.

IRLANDA (11 DEPUTATI)

Un tempo gli irlandesi erano tra i più euro-entusiasti perché vedevano nella Ue la possibilità di emanciparsi dalla tutela britannica. La crisi dell’euro e l’austerity imposta dalla Trojka hanno cambiato le cose. Alla fine dell’anno scorso l’Irlanda è uscita ufficialmente dal programma del fondo salva-stati, ma la politica di consolidamento di bilancio continua e incontra molte resistenze, per esempio contro l’imposizione di nuove tasse come quella sull’acqua. Ambedue i partiti al governo, il Fine Gael del premier Enda Kenny e il Labour secondo le previsioni dovrebbero uscire ridimensionati dal voto che si è tenuto ieri. A guadagnarne probabilmente il Sinn Fein di Gerry Adams.

LETTONIA (8 DEPUTATI)

I sondaggi sono dominati dal cosiddetto Centro dell’armonia, formato da socialdemocratici e socialisti. Il Paese, afflitto come le altre repubbliche baltiche da una pesante crisi finanziaria ed economica, è stato sull’orlo della bancarotta ma da qualche tempo registra segnali di ripresa, che fanno sperare in un tasso di crescita intorno al 4%. I lettoni, come gli estoni e i lituani, sono particolarmente interessati all’approfondimento dei legami con l’Unione anche come garanzia della loro indipendenza nei confronti del grande vicino russo. In Lettonia, come in Estonia, i cittadini di etnìa russa sono circa un terzo della popolazione.

LITUANIA (11 DEPUTATI)

A Vilnius le previsioni indicano una vittoria del Lsdp, il partito socialdemocratico, che dovrebbe raggiungere quasi il 38% e dovrebbe aggiudicarsi almeno quattro degli undici eurodeputati che spettano alla Lituania, dove si vota oggi, sabato. Il governo attuale diretto dal socialdemocratico Algirdas Butke- vic è formato, oltre che dal Lsdp, da un partito laburista, dal movimento Ordine e Giustizia e dal partito della minoranza polacca. Esistono un partito della minoranza russa e diverse piccole formazioni nazionaliste e di destra.

LUSSEMBURGO (6 DEPUTATI)

Il Granducato (mezzo milione di abitanti) è il Paese che sull’Unione europea detiene due record. Il primo è quel- lo della soddisfazione: oltre due terzi dei lussemburghesi dichiarano di esse- re informati sulle attività delle istituzioni di Bruxelles e di apprezzare l’integrazione europea. Il secondo è quello della partecipazione elettorale che, favorita anche dall’obbligatorietà legale del voto, si è sempre attestata oltre il 90%. Il partito più importante del Granducato è l’Unione popolare cristiano-sociale dalle cui file è uscito Jaean-Claude Juncker, per anni primo ministro del Lussemburgo, poi presidente dell’Euro- gruppo ed attuale candidato dei popolari alla presidenza della Commissione. Non manca però una formazione euroscettica: con lo slogan «meno Europa più Lussemburgo» un Partito Alternativo Riformista Democratico da-

to intorno al 5%.

MALTA (6 DEPUTATI)

La politica maltese è dominata dal Partito Demokratiku Nazzjonalista, che sotto la guida di Edward Fenech Ada- mi portò l’isola nell’Unioneed è attualmente al governo, e dal partito laburista, che vinse le elezioni europee sia nel 2004 che nel 2009. Un terzo partito, Alternattiva Demokratika, ha po- che chance. I due partiti maggiori hanno una impostazione favorevole alla Ue, pur se chiedono più aiuti e una maggiore attenzione, specie sul tema immigrazione. Le urne a Malta sono aperte oggi, sabato.

POLONIA (51 DEPUTATI)

I polacchi sono tra i sostenitori più entusiasti dell’Unione europea, dall’adesione alla quale il Paese ha avuto moltissimo da guadagnare, e però andranno a votare in pochi, secondo i sondag- gi: non più del 30-35%. La contraddizione si spiega solo con la scarsa fiducia degli elettori nei partiti. I due principali sono la liberale Piattaforma civica (Po) del premier Donald Tusk, che aderisce al Ppe, e il partito ultraconservatore Legge e Giustizia (Pis) di Jaroslaw Kaczynski, ex primo ministro e fratello gemello di Lech, il presidente che morì in un incidente aereo nel 2010. Nella campagna elettorale il Pis, pur non essendo programmaticamente contro l’euro e l’Unione, ha usato toni e argo- menti nazionalistici. Ma il partito di Tusk è risalito nei sondaggi facendo leva sulle inquietudini diffuse dall’atteggiamento russo nella crisi ucraina.

PORTOGALLO (21 DEPUTATI)

Il Portogallo è tra i Paesi che più hanno avuto da guadagnare nell’Unione euro- pea. Il Paese ha conosciuto una rapida crescita ma poi è arrivata la crisi finan- ziaria ed economica e le istituzioni di Bruxelles, la Bce e il Fmi hanno imposto una cura pesantissima, che ha colpito soprattutto giovani e pensionati. A differenza che in altri Paesi, qui la scontentezza verso le politiche d’austerity non ha trovato sfogo a destra, premia piuttosto la sinistra. Si prevede che il governo conservatore, accusato di essersi piegato alla durezza dei diktat, verrà punito e che verranno invece premiati i partiti di sinistra: i comunisti, i Verdi e soprattutto il partito socialista che venne scalzato dai conservatori alle ultime elezioni. Molto dipenderà dalla partecipazione al voto. Le stime attuali indicano una partecipazione intorno al 60%.

REPUBBLICA CECA (21 DEPUTATI)

L’aria a Praga è cambiata l’anno scorso, quando se ne è andato, dopo anni, il presidente della Repubblica Vaclav Klaus, che considerava l’Unione europea come un Moloch burocratico e Bruxelles poco meno che una capitale nemica. Travolto dal malaffare il suo partito, l’Ods, è crollato a meno del 10%. Ossigeno per gli altri partiti che credo- no nella Ue e nei vantaggi, non solo economici, che essa offre. Una vera e propria destra populista non esiste a Praga e dintorni, anche se i suoi argomenti riecheggiano in certi toni usati dal partito del miliardario Andrej Babis, che si batte contro la corruzione e soprattutto contro gli sprechi nell’utilizzo dei fondi Ue. Il partito di Babis potrebbe ottenere intorno al 25% dei voti. Nella Repubblica ceca si è votato ieri, venerdì, e si vota anche oggi.

ROMANIA (32 DEPUTATI)

La Romania è nell’Unione da sette anni ma non se ne vedono ancora molti benefici. Anche per questo la campagna elettorale è stata centrata soprattutto sui temi nazionali: la lotta contro corruzione e disoccupazione e la necessità di mettere mano alle riforme istituzionali. La politica rumena vive con grande disagio gli ostacoli che molti Paesi stanno opponendo alla libera circolazione in tutta l’Unione dei cittadini rumeni e bulgari e lamenta il fatto che Bucarest è trattata tuttora come una Cenerentola nella distribuzione dei fondi europei. I sondaggi dicono che il partito socialdemocratico del premier Victor Ponta è saldamente in testa con il 40%, seguito dai nazional-popolari con il 15%. Non si sa se avrà i voti per avere deputati il partito dell’estrema destra della Grossa Romania.

SLOVACCHIA (13 DEPUTATI)

La Slovacchia, dove le urne saranno aperte oggi, è il Paese in cui nelle ultime elezioni europee hanno votato meno aventi diritto: 17% nel 2004 e 19,6% nel 2009. Si spera che stavolta si registri una partecipazione meno misera. Anche perché il sentimento medio nell’opinione pubblica slovacca non è affatto ostile all’Europa. Tutt’altro. Il Paese ha tratto grandi benefici dall’appartenenza all’Unione e anche dall’entrata nell’euro, che pure all’epoca era apparsa un po’ avventurosa. Soltanto negli ultimi tempi si sono levate critiche a Bruxelles per quanto riguarda l’aumento delle tasse e la disoccupazione. Ciò non toglie che tra i partiti ci sia una quasi unanimità a favore dell’Unione e che il partito più decisamente europeista, il socialdemocratico Smer sia saldamente in testa nei sondaggi.

SLOVENIA (8 DEPUTATI)

La Slovenia ha un triste primato negativo: è l’unico Paese tra i 28 che oggi è più povero di quando, dieci anni fa, è entrato nell’Unione. Di fronte alla recessione, il governo combatte per risalire la china senza ricorrere all’aiuto dei fondi salva-stati, ma l’anno scorso il sistema bancario è stato a un passo dal crac. Nonostante questo, non ci sono movimenti di destra che cavalchino i sentimenti antieuropei. Il rischio è, sostiene qualche osservatore, che la delusione verso l’Europa si manifesti piuttosto nell’astensione al voto.

SPAGNA (54 DEPUTATI)

È insieme con la Germania il grande Paese dell’Unione in cui non sono pre- senti e attivi forti movimenti contro l’euro e l’Europa. Ha subìto pesantissime conseguenze per la crisi finanziaria e il sistema bancario è stato a un passo dal collasso. Gli effetti economici della crisi sono spaventosi, soprattutto per quanto riguarda la disoccupazione, che ha toccato livelli sconosciuti agli altri Paesi. La critica alle classi dirigenti spagnole, che prima si sono cullate nel- la falsa ricchezza del boom edilizio e poi non hanno saputo reagire in tempo ai primi segnali di crisi, è dura ma non ha terremotato il quadro politico. I due grandi partiti, il popolare e il socialista, che qualche anno fa raccoglievano più dell’80% dei voti, sono calati, ma si divi- dono ancora i due terzi dell’elettorato, pur se hanno lasciato spazio alla sinistra e, soprattutto, ai partiti regionalisti nei Paesi Baschi e in Catalogna. L’aspirazione di Barcellona a organizzare per novembre un referendum sull’indipendenza catalana ha avuto largo spazio in campagna elettorale.

SVEZIA (20 DEPUTATI)

Dentro l’Europa ma anche un po’ fuori: senza l’euro e con la ferma intenzione di mantenere le proprie specificità in materia di standard sulla qualità del- la vita e di servizi sociali. Il «modello Svezia» ha fatto sempre un po’ storia a sé, ma nonostante tutto la maggioranza degli svedesi è sempre stata favorevole all’appartenenza all’Unione e continua ad esserlo, sia pure di poco. La spiacevole novità è la comparsa di un partito intenzionato a farla finita tanto con il «modello», del quale si vorrebbero salvare solo gli aspetti meno sociali e solidali, quanto con l’appartenenza all’Europa. Gli Sverigedemokraterna, i (sedicenti) democratici svedesi sono un partito populista, antitasse e soprattutto xenofobo. La loro forza è calcolabile tra il 5 e il 10%, ma ci sono osservatori secondo i quali, con la trasformazione in partito in doppiopetto, potrebbero sfondare. In ogni caso dovrebbero erodere consensi tanto ai conservatori che ai socialdemocratici.

UNGHERIA (21 DEPUTATI)

Al ministero dell’Interno di Budapest sono tanto sicuri che saranno pochi gli ungheresi che andranno a votare da aver fatto stampare solo 5 milioni di schede elettorali per gli 8 milioni di elettori. D’altronde, il governo di Viktòr Orban non ha mai brillato per zelo democratico. Con il suo partito Fidesz, vincitore delle elezioni nazionali, Orban ha compiuto diversi passi verso la creazione di un regime autoritario, con la stampa sotto controllo, la magistratura messa al guinzaglio e la finanza piegata agli interessi delle cricche di potere. Tutto senza che da Bruxelles venisse un’obiezione (se non quando si è toccata l’autonomia della Banca centra- le) e neppure dal Ppe di cui Fidesz è autorevole componente. Il partito di Orban vincerà le europee e resterà da vedere se i socialisti e i Verdi riusciranno a ripetere il miracolo di restare in gara come fecero alle elezioni nazionali. Ma soprattutto si dovrà vedere quanto si prenderà Jobbik, il partito di estrema destra tanto impresentabile che neppure Le Pen e Wilders vogliono averci a che fare. Quello che vuole cacciare ebrei, omosessuali e rom e con il suo 15% è, come dice il suo leader Gabor Vona, «il partito radicalnazionalista che ha più successo nella Ue».

L’Unità 24.05.14