Oggi mi trovo in Polonia, a Oswiecim: Auschwitz in tedesco. Qui settanta anni fa, il 23 maggio 1944, furono ammazzati perché ebrei un fratello (Giovanni) e tre sorelle (Eva, Gina, Valentina) di mio nonno Angelo Della Seta con le loro famiglie: Jacopo Franco marito di Gina; Enrico Di Capua marito di Eva; Angelo e Elda Di Nola marito e figlia di Valentina; Mario e Renzo Roccas marito e figlio di Elda (Mario e Renzo furono ammazzati alcuni mesi dopo gli altri). Mio nonno non c’era, era morto di malattia quattro anni prima. Non c’era neanche mio padre Piero: per sua (e per mia) fortuna si era allontanato dalla famiglia d’origine e avvicinato a una nuova, quella del Partito comunista clandestino. Anche per questo quando ad aprile 1944 i suoi zii e cugini vennero arrestati dai fascisti a Chianni, vicino a Pisa, dove credevano di stare al sicuro, poi portati nel carcere di Firenze, infine consegnati ai nazisti e deportati nel campo di Fossoli e da qui ad Auschwitz, lui invece si trovava a Roma come la madre Jole e la sorella Giovanna, ben nascosti da qualche parte grazie ad amici, preti, comunisti. Tutti e tre si salvarono dai nazisti, tutti e tre il 4 giugno 1944 – senza sapere che una settimana prima un pezzo della loro famiglia era stato distrutto ad Auschwitz – poterono festeggiare la liberazione della città.
Visitando le baracche ben conservate dello sterminato campo di Auschwitz mi sono venute in mente le parole scritte da Edgar Morin e Mauro Ceruti in un libro recente e bellissimo che s’intitola «La nostra Europa». L’Europa metanazionale – così Morin e Ceruti – è figlia della barbarie, del male assoluto simboleggiato da Auschwitz e anche del rifiuto di quell’altro male profondissimo che fu lo stalinismo. Ma questa Europa che fra errori, parziali fallimenti, viltà, ritorni indietro non ha mai smesso di cercare la via dell’unità, della cittadinanza europea, è figlia soprattutto dell’improbabile: «Le sorti della seconda guerra mondiale – ricordano Morin e Ceruti – vissero un rovesciamento drammatico nell’inverno 1941-1942. In soli due mesi, il probabile della vittoria nazista iniziò a diventare improbabile; l’improbabile della vittoria alleata iniziò a diventare probabile ».
Per Morin e Ceruti, anche l’Europa di domani «sarà figlia dell’improbabile o non sarà». L’improbabile, per l’Europa attuale, è fermare il suo declino, economico ma prima ancora identitario, e aiutare a sconfiggere le nuove barbarie – sociali, ecologiche, umanitarie – che essa stessa ha coltivato dentro e oltre i suoi confini. Può riuscirci, come già settant’anni fa, usando le sue migliori risorse di pensiero e di cultura, le stesse che nei suoi giorni più bui diedero forma al «sogno» federalista di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi: scrivono ancora Ceruti e Morin che «l’Europa ha prodotto, con l’umanesimo, l’universalismo, l’ascesa progressiva di una coscienza planetaria, gli antidoti alla stessa barbarie pure da essa diffusa nel mondo. Anche questa è una condizione per superare i rischi, sempre presenti, di nuove barbarie». L’idea di Europa come antidoto alla barbarie: la stessa idea difesa appassionatamente e disperatamente da Alex Langer negli anni tragici della carneficina nella ex-Jugoslavia. Oggi mi trovo ad Auschwitz mentre l’Europa sta per votare, tutta insieme, per eleggere il prossimo Parlamento europeo.
Si voterà a Oswiecim-Auschwitz come a Roma, a Chianni come a Berlino, voteranno i discendenti dei carnefici e quelli delle vittime di Auschwitz. Potranno votare anche alcuni che sopravvissero ai campi di sterminio: come Piero Terracina, che viaggiò verso Auschwitz sullo stesso treno con i miei familiari e che da decenni viaggia per le scuole raccontando cosa fu la Shoah. Voteranno, per la prima volta, le donne e gli uomini della Croazia, divenuta nel 2013 il ventottesimo Paese membro dell’Unione europea; non ancora i serbi, i macedoni, i montenegrini, i bosniaci, i kosovari, gli albanesi, che però pure loro, finalmente, sono parte dell’integrazione europea. Centinaia di milioni di europei, dal circolo polare artico a Lampedusa, voteranno tutti insieme per scegliere deputati che in un’unica assemblea elettiva dovranno rappresentare non il proprio Paese, ma i cittadini europei. L’Europa oggi sembra malmessa: per molti europei non è ancora una «patria» ed è anzi una specie di «matrigna», spesso nelle sue politiche – dal lavoro all’immigrazione – non si vede traccia dei valori di apertura, socialità, sostenibilità che a parole proclama.
E però questa possibilità, questa idea di eleggere tutti insieme un solo Parlamento, a me piacciono. Domenica torno a casa per votare anch’io.
L’Unità 22.05.14