Gentile sindaco Fucci, io lo so, tu non hai fatto che interpretare alla lettera il famoso adagio di Don Milani. «Non si divide in parti uguali una torta tra diseguali». Vorrei però rilevare che si è creato un increscioso equivoco, che, con tutte le faccende in cui è affaccendato di questi tempi un sindaco, sicuramente ti sarà sfuggito il senso di quella frase. Forse hai letto distrattamente, ma quel prete lì intendeva tutt’altra cosa quando parlava di eguali e diseguali. Intendeva renderli tutti uguali nei diritti. Diversi uno per uno, i nostri studenti, ma eguali nei diritti. Per compensare ciò che non hanno, non per passarci sopra l’evidenziatore fluò. Quanti di noi docenti ripongono quaderni nuovi nell’armadio di classe, dicendo a tutti loro e non solo a quel bimbo lì, «se qualcuno ha dimenticato il quaderno, lo prenda dall’armadio»? E libri, squadrette, persino scarpe da ginnastica. Così, distrattamente, i bambini diversi per sfortuna, tornano uguali tra i banchi. Senza che nessuno se ne accorga. Compensare per eguagliare, caro sindaco. È la normalità nelle classi, giusto per mettere tutti i bimbi alla pari ai nastri di partenza. E spesso son loro stessi a farlo, da soli, naturalmente. Quello che è accaduto a Pomezia è esattamente nel verso opposto. Che sarà mai un dolce in quest’era di bimbi obesi? Mi segnalava oggi una conoscente. È pure meglio se mangiano una merendina in meno. Sarà anche vero, ma ciò valga per tutti. Un bravo sindaco o la toglie per tutti o fa in modo di garantirla a tutti. La tua storia mi ha subito fatto tornare alla memoria una vicenda accaduta nel 2010 a Palermo; sempre di mense, di cibo, di sindaci e di bimbi si trattava. Ne ho viste di cotte in questi anni come responsabile scuola dell’esecutivo a Palermo, ma quella storia mi era rimasta nel cuore. Mi segnalarono che quell’anno l’allora sindaco, di centrodestra, per simili problemi di bilancio, aveva raddoppiato il contributo da pagare per la mensa per i bambini delle scuole elementari: da 70 a 145 euro per le famiglie di fascia media per il pasto caldo dei loro bimbi. Le fasce povere pagavano uno minimo, è vero, ma se le fasce medie sono ormai povere anche loro? Sono fatte di impiegati che magari hanno due o tre figli, e si chiedono se è meglio la palestra per i loro figli o il pasto caldo a scuola. Quella scuola era in un quartiere residenziale, come tanti in Italia, della media borghesia. Un tempo la fascia media era dignitosa, oggi sono la percentuale più alta a rischiare la soglia di povertà. Eravamo a Palermo. Una storia simile a quella di Pomezia, dunque. Alcuni genitori, coppie giovani, con mutui, altri figli, non se lo potevano permettere il pasto caldo e dunque toccò il panino in classe portato da casa tutto l’inverno i più indigenti e super pranzo nella mensa da 145 euro mensili per i più fortunati. Con primo, secondo, frutta e dolce. Quello che avanza si buttava: per legge. «Perché mamma è un pranzo da papa, mica le mangio io tutte quelle cose». Accadde dunque qualcosa in quella scuola e secondo me potrebbe accadere anche a Pomezia. I bambini più fortunati rinunciarono alla mensa e decisero di mangiare il panino con i loro compagni, pur di stare insieme. Genitori e preside convocarono a quel punto un’assemblea allargata per ottenere dall’assessore di abbassare il contributo, chiedendo una sola portata uguale per tutti: mangiare meno, ma mangiare insieme, questo chiesero quei bimbi coi loro genitori. A quell’assemblea venni invitata. Non sapevo se essere fiera di quei bimbi o intristirmi. E ne ho avuta di rabbia in questi anni, tra precari tagliati e scuole che crollano, tra topi che invadono e vandali che rompono. Un pasto caldo per tutti. Meno ricco ma uguale per tutti. Ecco, caro valido sindaco grillino, efficiente e volenteroso, il senso dei bimbi per la vita. Adesso non vorrei strumentalizzare la tua parte politica, che putacaso è opposta alla mia e dunque mi verrebbe in discesa fare della parte il mucchio, dicendo peste e corna di te, della tua parte e chi più ne ha più ne metta. Non lo farò. Voglio credere solo che era a fin di bene. «Chi può pagare mangi e chi non può pagare mangi meno» è una logica perfetta, da ottimo amministratore. C’è che a me, a tanti di noi, così non va giù. Chi può pagare mangi un pochino di meno per far mangiare chi non può pagare. Il discorso è complesso, ma se hai tempo vieni a Palermo, in quella scuola. I bambini te lo spiegheranno in tre parole
L’Unità 22.05.15