attualità, politica italiana

"La ricetta di Stiglitz agli italiani incerti", di Mario Pirani

Pochi giorni fa il premio Nobel americano Joseph Stiglitz — noto per le sue posizioni anti austerità — ha svolto, nell’Aula Magna dell’Università Luiss di Roma, una Lezione — dedicata ad uno dei più importanti Presidenti di Confindustria del dopoguerra, Angelo Costa — dal titolo: “L’euro può essere ancora salvato?”.
La sua risposta ha quanto mai colpito un pubblico, quello italiano, non abituato a un linguaggio così tagliente quando si tratta di parlare dell’economia europea. Per anticipare la risposta, se è vero che i Paesi non lasceranno l’euro, vi è un altro pericolo all’orizzonte: quello di una “sindrome giapponese” in cui si fa il minimo necessario per preservare la valuta comune, ma ci si condanna a sopportare costi enormi, danneggiando le capacità di lungo periodo dell’economia europea di crescere e generare occupazione.
La sindrome giapponese, è il caso di notare, fu fatta di deflazione e crescita pressoché nulla per quasi un ventennio: due fenomeni che si rafforzano a vicenda tenendo conto che la riduzione dei prezzi è figlia della crisi da domanda e che quest’ultima peggiora con la deflazione, che fa posticipare i consumi, aumentando il costo reale del debito per i debitori già in difficoltà e il costo del lavoro per le imprese che non riescono più a trattenere il personale. Che la Banca Centrale Europea stia annunciando nuove misure di espansione monetaria con i tassi praticamente a zero e che i dati sulla crescita italiana in questo primo trimestre siano peggiori del previsto non fanno che rafforzare i timori che la sindrome sia drammaticamente reale. Proprio quando, ecco l’ironia, il Giappone stesso pare pronto ad uscirne grazie allo stimolo alla domanda proveniente dal piano di consistenti investimenti pubblici annunciati dal premier Abe prima del rialzo della tassazione indiretta sui consumi per finanziarli.
La soluzione proposta da Stiglitz? Visto che l’austerità non ha essenzialmente mai funzionato, c’è bisogno di un piano europeo in cui il Nord (la Germania) espanda più del Sud (l’Italia) la sua economia, così che ambedue sollevino il Continente senza al contempo che si allarghino le differenze nelle nostre rispettive bilance commerciali, accumulando con ciò insostenibili debiti esteri nel Sud dell’Europa.
È il primo passo verso una unione fiscale che sappiamo bene essere lenta e graduale e dunque impossibile da ottenere nel breve periodo, come ci insegna anche la storia degli Stati Uniti, in cui la vera Unione si è celebrata solo dopo più di un secolo e mezzo con l’arrivo del New Deal di Roosevelt. Quando Jean Monnet, padre fondatore dell’Europa, affermava che «i paesi della Comunità Europea sono in procinto di stabilire tra loro relazioni d’uguaglianza e solidarietà, sarebbe a dire delle relazioni simili a quelle che già esistono in seno ai nostri propri paesi» dava il segno più di una direzione da intraprendere che di una soluzione a portata di mano. Il primo gesto di solidarietà che si richiede dunque alla Germania non è poi così drammatico: aiutare se stessa permettendo ai propri lavoratori di spendere di più (abbassando le tasse ed aumentando i salari ai lavoratori tedeschi) fa bene all’export italiano e ci aiuta a guadagnare tempo riprendendo fiato per fare le riforme che servono al Paese.
La prima riforma che ci spetta di fare è quella della lotta alla corruzione, come dimostra la vicenda Expo, ben più dura come sforzo di quella che coinvolge la vendita delle auto blu. Da essa proverranno le risorse per fare anche noi senza debito quegli investimenti pubblici che rimettono in piedi il Paese.
Stiglitz giustamente ricorda come la crisi di cui viviamo le conseguenze non è un disastro naturale ma una situazione che ci siamo masochisticamente imposti. Solo nel tempo ne sentiremo gli effetti se non arrestiamo l’emorragia: scoraggiamento giovanile, distruzione di piccole imprese e anche disillusione verso i meccanismi democratici di rappresentanza.
Ecco, le elezioni. Come ha notato Gustavo Piga, professore di Economia a Tor Vergata e organizzatore dell’evento, l’appuntamento europeo di questo fine settimana, di fatto, diventa un’ultima ciambella per inviare al Parlamento europeo chi potrà con tenacia difendere gli interessi italiani all’interno del progetto europeo: nell’euro, in
un’altra Europa.

La Repubblica 19.05.14