Con Hitler non si può scherzare. Milioni di morti è costato all’umanità. Beppe Grillo invece ci gioca volentieri. Vuole mettere paura, dissacrando valori e principi comuni. Per essere altro da tutti. E, in effetti, fa paura la sua violenza verbale che scatena ovazioni nelle piazze. Non fidandoci dei sondaggi preferiamo attendere la sera del 25 maggio per discutere il peso dei consensi a Grillo. In ogni caso, tanti nostri concittadini voteranno ancora Cinque stelle. Alle europee più che alle amministrative. Il tripolarismo italiano, insomma, si consoliderà proprio nel voto più politico. E non è prevedibile che uno dei tre poli scompaia nel breve periodo: piuttosto la stabilizzazione di una forza di protesta antisistema, refrattaria a qualunque coinvolgimento per migliorare le cose che non vanno, tenderà a modificare il confronto pubblico. Non sta cambiando solo la scena, la novità incide anche sulle offerte politiche alternative. Del resto, il consenso di Grillo è apparentato con quello dei partiti populisti e antieuropei nel resto d’Europa.
Questo impone alla sinistra una riflessione più impegnativa di quanto non sia finora avvenuto. Siamo davanti alla manifestazione più clamorosa della crisi democratica e di sistema: invece, c’è stata una sottovalutazione. Beppe Grillo è la febbre, non certo una medicina. Ma la malattia che provoca questa febbre è grave e il corpo sociale è debilitato da un declino strutturale della nostra economia, da una crescita delle diseguaglianze, da un’erosione delle reti di solidarietà e di comunità. La democrazia, che pensavamo irreversibile e in permanente espansione, si sta rivelando un bene fragile. I poteri democratici fuggono fuori dalle istituzioni, verso le astratte entità dei mercati finanziari e delle tecnostrutture internazionali. E la politica si scopre impotente. Incapace di rispondere a bisogni, desideri, interessi reali della società che chiama al voto. I cittadini sentono che le loro capacità soggettive continuano a crescere nel mondo della comunicazione istantanea e universale, ma la democrazia li delude. Perché è lenta, inefficace. In Italia ancor più lenta e più debole, ma sbaglieremmo a pensare che si tratti solo di un problema nazionale.
È questo misto di onnipotenza soggettiva e di impotenza oggettiva che genera la sfiducia, la delusione, la rabbia. Talvolta la disperazione, quando si aggiunge il carico del bisogno materiale, del lavoro che non c’è, della famiglia che non arriva alla fine del mese. Da questo impasto nasce il movimento che fa a meno della democrazia, che ne disprezza le forme, che taglia le radici su cui è stata fondata. Diciamo la verità: finora si è risposto a Grillo sfidandolo un po’ sul terreno delle istituzioni, un po’ su quello della comunicazione. Tutte cose giuste, sia chiaro. Visto che i grillini sono presenti in Parlamento, è bene chiamarli a una qualche responsabilità. La democrazia è un processo e non di rado ha battuto ideologie ostili affermando il proprio metodo: è dunque salutare che Grillo paghi ogni tanto il prezzo del dissenso e della rottura con quanti tra i suoi si ribellano alla linea sfascista del «tanto peggio tanto meglio».
Ma non è una strategia sufficiente. Per fortuna che Matteo Renzi ha oggi una popolarità e una forza personale che gli consentono di stare sul ring, di combattere con Grillo a viso aperto, di contrastare la sua furia distruttiva, di difendere l’Italia mentre parla dei cambiamenti necessari all’interno e in Europa. Tuttavia, non basterà Renzi se tutto verrà affidato a uno scontro personale tra leader. Sbaglia l’analisi chi pensa che il consenso di Grillo dipenda da circostanze accidentali. Che, insomma, lo si possa battere sul suo terreno. Magari, utilizzando le sue parole d’ordine per piegarle altrimenti. Questa è una strada sbagliata. Sulla quale si rischia di sprecare l’occasione che Renzi offre oggi alla sinistra.
È tempo invece di una battaglia politica e culturale a tutto campo. Una battaglia in cui la sinistra rimetta in discussione se stessa, abbandonando presunzioni e pigrizie. La partita non si chiuderà certo il 25 maggio. Qualunque sia il risultato. Bisogna dire con chiarezza che le parole violente sono pietre. Grillo non può cavarsela sostenendo che, senza di lui, arriverebbe Alba dorata in Italia perché così facendo le sta, appunto, preparando la strada. Bisogna contrastare senza paura il razzismo implicito di Grillo quando tratta gli immigrati con le categorie di Marine Le Pen. La solidarietà è forza di cambiamento. E poi bisogna dire che l’utopia disegnata da Casaleggio – una società senza partiti, senza corpi intermedi, senza libertà religiosa – è né più né meno che l’incubo orwelliano. Non c’è democrazia senza la mediazione delle istituzioni, senza il pluralismo sociale. Il sistema di cui parla Grillo, quello del 100% di consensi, è autoritario, incompatibile con qualunque Costituzione democratica. È giusto ricordare a noi stessi che il consenso dei Cinque stelle si alimenta anche con la corruzione e le degenerazioni del sistema.
Questo impone un’azione politica decisa. E risultati concreti. Ma non è più l’alibi per diplomazie o opportunismi. La minaccia di Grillo è oggi più forte di quella delle destre. Non è un caso che sta bruciando molti spazi della sinistra. Anche per questo la responsabilità del Pd è grande: è nel Pd, e non in territori angusti fuori dal Pd, che la sinistra giocherà la sua partita decisiva.
L’Unità 18.05.14