George Soros ripete spesso che la seconda guerra mondiale gli ha cambiato la vita. «Ma per chi è giovane ora il grande trauma è la crisi dell’euro – aggiunge -. Se fossi giovane, mi considererei una vittima e vedrei nell’Unione europea il colpevole». In questi giorni Soros presenta il suo ultimo libro, che ha voluto ottimista nel titolo («Salviamo l’Europa. Scommettere sull’euro per creare il futuro», Hoepli). Ma sa che alle prossime elezioni i populisti possono incassare un risultato senza precedenti. Anche il governo di Matteo Renzi è sotto esame: i mercati scommettono sulle sue riforme, dice. «Ma se fallisce il vento potrebbe
cambiare».
Una vittoria dei partiti antieuropei la preoccupa?
«Sono sempre più forti. Siamo di fronte a una politica nuova, basata su un’ideologia nazionalista sfruttata da figure carismatiche per garantirsi sostegno. Questi leader hanno in mente un sistema formalmente democratico ma nei fatti autoritario e capace di manipolare l’opinione pubblica. Ciò che è populista per noi, per loro è semplicemente popolare».
È il modello Putin, che in effetti non dispiace a Silvio Berlusconi, Marine Le Pen o all’ungherese Viktor Orban.
«È così. Putin sta diventando popolare in certi ambienti come sfida all’Unione europea. Attrae perché ha caratteristiche che piacciono ai populisti».
Come spiega che in Italia o in Francia i partiti anti-euro sono più forti che in Germania?
«La situazione economica è diversa. L’Italia e la Francia sono fra i Paesi più deboli, mentre in confronto al resto d’Europa la Germania sta prosperando».
Non crede alla ripresa?
«L’Europa sta entrando nello stesso tipo di stagnazione prolungata da cui il Giappone cerca disperatamente di uscire. Per questo i titoli di Stato italiani vengono comprati anche se rendono meno del 3%: gli investitori prevedono deflazione. È una situazione che continuerà finché l’euro resta integro e il mercato si è convinto che in effetti sarà così».
Il debito però continua a salire in molti Paesi, Italia inclusa. È un problema?
«Il debito è impossibile da ridurre in deflazione. Il forte surplus esterno della Germania contribuisce a rafforzare l’euro e ciò a sua volta deprime i prezzi al consumo. Finché l’Europa resta un sistema così asimmetrico, con la Germania che chiede agli altri di rispettare il Fiscal Compact ma si disinteressa delle regole sul proprio surplus eccessivo, sarà squilibrata. È questo che mette la gente contro l’Europa. Così l’euro rischia di
distruggere l’Unione europea e alla fine anche se stesso».
Ma se il debito in Europa del Sud continua a salire e aumentano i tassi, si inizierà a pensare a una ristrutturazione o a una parziale insolvenza pilotata?
«È possibile. Ma anche se la Federal Reserve abbandonerà le politiche che tengono bassi i tassi, la Banca centrale europea dovrà trovare modi di agire contro la deflazione. Potrebbe comprare titoli di Stato e ciò terrebbe bassi i rendimenti. O potrebbe comprare dollari, svalutando l’euro e aiutando gli esportatori. Finché la Germania sostiene la Bce e la Bce fa qualcosa, questa situazione può continuare all’infinito. Intanto i problemi alla base dell’euro non vengono risolti. Nessuno osa sfidare la Germania e così la zona euro resta una democrazia asimmetrica: i creditori disegnano le regole per i debitori».
Non tutti i Paesi in crisi sono uguali: Spagna, Portogallo e Irlanda ora vanno meglio dell’Italia. Perché?
«L’economia più debole è la Francia, ma subito dopo viene l’Italia. C’è bisogno di riforme nei singoli Paesi, non solo nella zona euro. Renzi sembra interessato a riformare il mercato del lavoro: vedremo se riuscirà a trovare sufficiente sostegno nel suo partito. Renzi ha bisogno di consolidare il controllo sul partito e ciò potrebbe motivarlo ad andare avanti con le riforme del lavoro. I mercati stanno scommettendo che Renzi riesca; se fallisce, il che è possibile, questa tendenza potrebbe invertirsi. In Europa c’è una battaglia fra generazioni: i più anziani proteggono i loro privilegi contro i giovani e, vista l’età media elevata, sono più numerosi alle urne. Uno può leggere la politica in Italia in questo modo».
La Repubblica 14.05.14