"Il mito di Marcello uomo di mafia con la reputazione del manager colto", di Enrico Deaglio
MI guardò in cagnesco. Poi si alzò, inforcò i Rayban neri, si abbottonò il doppiopetto rigato marrone e, giunto davanti al mio tavolo, si tolse gli occhiali con un ampio gesto e fece, a voce alta: “Eccomi, sono la sua vittima. Ma se mi conoscesse meglio, non scriverebbe quello che scrive”. Mise gli occhiali nel taschino, con una stanghetta fuori: “Comunque, complimenti; lei scrive molto bene” e se ne uscì, teatralmente. II brusio del locale era improvvisamente cessato, il cameriere era sbiancato, come quando nel saloon entra lo Straniero e mormora: “Dite al Condor che lo sto cercando”. Non c’è dubbio che avesse una reputazione, Marcello; e non solo di raffinato bibliofilo. Era una caricatura, ma nello stesso tempo faceva un po’ paura. E infatti, non aveva avversari politici: io perlomeno non ne ricordo nessuno. Ora che è stato definitivamente condannato (“fin dagli anni Settanta fu l’ambasciatore di Cosa Nostra a Milano”) gli italiani saranno costretti probabilmente a farsi delle domande scomode. Tipo: ma come è stato possibile? La mafia nel consiglio di amministrazione della …