Crescere in povertà economica condiziona moltissimo le opportunità lungo tutto il corso della vita: sul tipo di formazione, sulla salute, sul capitale umano e sociale. È in questa situazione in Italia un milione circa di bambini e ragazzi, il doppio di cinque anni fa, nella pressoché totale indifferenza della politica e assenza di politiche. Compensare lo svantaggio di nascere e crescere poveri è difficile. Lo è ancora di più se, non solo il reddito, ma anche le risorse essenziali perché i bambini e ragazzi possano sviluppare le proprie capacità cognitive, emotive, relazionali, non sono distribuite in modo da compensare gli svantaggi ma li rafforzano, come succede in Italia.
È quanto emerge dal rapporto appena presentato da Save The Children, “La lampada di Aladino”, sulla base di un indice chiamato di povertà educativa: appunto di povertà di risorse per la crescita e lo sviluppo delle capacità individuali. Gli indicatori che lo compongono riguardano sia le caratteristiche dell’offerta scolastica pubblica, sia dati di comportamento quali la dispersione scolastica, la pratica sportiva, la partecipazione ad attività culturali. Come tutti gli indici è parziale e imperfetto.
Anche in questo primo parziale abbozzo, tuttavia, due fenomeni appaiono con grande evidenza. Il primo è, appunto, la disuguaglianza territoriale. Fin dalla prima infanzia, ai bambini e ragazzi vengono offerte meno risorse proprio là dove sarebbe necessario offrirne di più: meno nidi, meno scuola primaria a tempo pieno, meno mense scolastiche, proprio là dove, in particolare al Sud, maggiore è non solo la povertà minorile, ma anche la dispersione scolastica, più ridotta la partecipazione ad attività sportive e culturali di vario genere, così come la lettura di libri al di fuori di quelli scolastici. In altri termini, là dove le istituzioni educative, a partire dal nido, avrebbero una maggiore responsabilità di offrire opportunità ed esperienze che le famiglie non sono in grado di fornire, è invece più povera e scarsa. Il che non significa che invece nelle regioni più ricche non ci siano problemi.
Nessuna regione italiana, ad esempio, ha ancora raggiunto l’obiettivo europeo di un 30% di copertura per gli asili nido e nessuna regione italiana offre il tempo pieno scolastico neppure al 50% degli scolari. Ed i dati sulla lettura, la pratica sportiva e la partecipazione culturale non sono molto confortanti. Ma i divari inter-regionali sono enormi (con la positiva eccezione della Basilicata al Sud e, invece, quella negativa della Valle d’Aosta al Nord).
Il secondo dato è la scarsa considerazione in cui politici e amministratori sembrano tenere i bisogni e diritti dei bambini e minori, testimoniata non solo dai divari sopra richiamati e dalle carenze riscontrate anche nelle situazioni più felici, ma anche dalla scarsa preoccupazione per la sicurezza fisica dei minori. La spia più drammatica di questo disinteresse è il fatto che quasi la metà (47%) degli istituti scolastici italiani manca del certificato di agibilità, ovvero non ha fatto effettuare nessun controllo sulla sicurezza degli ambienti in cui i nostri figli e nipoti passano tante ore della giornata. Anche qui i divari inter-regionali sono enormi: si va dal 73% delle scuole del Friuli Venezia Giulia (che guida la graduatoria complessiva) al 27% della Sardegna. Solo Campania (per altro ultima nella graduatoria complessiva) e Basilicata, tra le regioni del Sud, superano il 50%, mentre Abruzzo e Lazio arrivano solo, rispettivamente, al 42% e 33%.
Pur con limiti e parzialità, il quadro delineato dal rapporto è sufficientemente drammatico per imporre la questione della povertà non solo economica, ma anche educativa dei minori come una emergenza non più ignorabile.
La Repubblica 13.05.14