l’università che uccide se stessa È il titolo provocatorio di un post, pubblicato a fine aprile da due professori di filosofia a Tor Vergata, Stefano Semplici e Giovanni Salmeri. Un sasso che sta provocando una valanga. Anzitutto una valanga di adesioni sul web, con centinaia e centinaia di messaggi da tutti gli atenei italiani. Poi sono partite le lettere ai rettori (una di queste, sottoscritta da 90 presidenti di corso di laurea – su 120 – dell’università di Padova). E ieri, a sostegno della protesta, ha preso ufficialmente posizione anche Stefano Paleari, presidente della Crui, la conferenza dei rettori. I docenti non ne possono più della «burocrazia accademica», di quel “delirio” di carte, adempimenti, misurazioni, redazioni, descrizioni, a cui sono quotidianamente costretti e che stanno diventando ormai la loro attività principale, superando il tempo dedicato alla didattica e agli studenti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la pubblicazione, da parte dell’Anvur (Agenzia nazionale di Valutazione del sistema universitario e della ricerca), delle «Linee guida per l’accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio». Un documento di 57 pagine, il cui scopo è verificare il livello del sistema di «Assicurazione della qualità» nei singoli atenei. Un ulteriore supplemento di moduli, indicatori, misuratori, quesiti di complicata interpretazione. Nel documento il burocratese supera se stesso, fino a indicare dettagliatamente i giorni della settimana e gli orari in cui i componenti della Commissione di esperti per la Valutazione dovranno svolgere i loro incontri. Il presidente della Crui ha scritto al ministro che occorre «riflettere radicalmente» su queste Linee guida (del resto, il tam tam dei docenti arriva a minacciare un clamoroso blocco della didattica).
Lanciando il primo sasso, i due professori romani hanno precisato che non intendono affatto rifiutare o contrastare l’idea della valutazione
degli atenei e dei professori. «Non abbiamo paura – hanno scritto – di essere valutati, giudicati e controllati. È giusto che i professori universitari siano premiati quando operano bene e siano puniti e, nei casi estremi, perfino cacciati quando si sottraggono ai loro doveri verso gli studenti e verso la comunità scientifica». Ma ci sarà un modo meno burocratico e ossessivo di valutare? La stessa ministra Giannini, in commissione al Senato, ha riconosciuto che con l’Anvur «invece di semplificare, abbiamo complicato» e che ora bisogna assolutamente sforbiciare la burocrazia accademica.
L’Anvur è stata costituita nel 2006 con compiti «di valutazione esterna della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca». Una funzione tecnica, dunque, a fronte della responsabilità politica del ministero. Ma con la legge Gelmini, e il relativo regolamento di attuazione, l’Anvur ha acquisito veri e propri compiti di indirizzo. Ora spetta ad esso fissare «i requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e delle attività di ricerca, nonché di sostenibilità economico finanziaria». Il rapporto tra ministero e Anvur è stato di fatto ribaltato: l’Agenzia tecnica definisce le scelte e i criteri-guida, il ministero li applica e li fa applicare. Viste le scarse risorse dell’università e della ricerca, i criteri di valutazione diventano essenziali per i finanziamenti e gli organici. E così la burocrazia, con la sua pretesa di oggettività, si sta imponendo come padrona del campo.
La protesta che si è sviluppata sul web non si limita a chiedere un drastico disboscamento delle procedure previste della recenti «Linee guida». Punta al ritiro del decreto Ava (Autovalutazione, Valutazione periodica, Accreditamento) del 30 gennaio 2013, indicato come capofila della degenerazione burocratica. In effetti, per un profano che si avvicina a quel testo, c’è da essere increduli. Ecco una citazione del decreto, relativa ai requisiti per la docenza: «La quantità massima di didattica assistita si calcola, con riferimento al quadro Didattica erogata della SUA, per i vari corsi di studio dell’Ateneo, tenendo conto del numero di docenti di ruolo disponibili (professori ordinari e associati e ricercatori a tempo indeterminato e determinato) e del numero di ore di didattica assistita massima erogabili da ciascun docente, attraverso la seguente formula: DID = (Yp x Nprof + Ypdf x Npdf +Yr x Nric) x (1 + X)». Rettori e professori dovrebbero attenersi a questa formula algebrica. Sempre che sia possibile. Sempre che resistano alla disperazione e all’istinto di dare testate al muro.
Il premier Renzi e la ministra Giannini si sono posti l’obiettivo di combattere la burocrazia inutile e dispendiosa. Questo sarebbe un ottimo punto di partenza. Anche perché, dai messaggi che si leggono in rete, avrebbero come alleati la maggior parte dei professori. Che sanno bene quanto sia importante avere una valutazione efficace in un sistema universitario ormai aperto al mondo e alla competizione. Ma sanno anche che la qualità della burocrazia è, appunto, un indice primario della competitività del Paese.
L’Unità 12.05.14