Le misure annunciate vanno in gran parte nella direzione giusta. Attaccano le inefficienze della burocrazia e avvicinano il cittadino alla pubblica amministrazione. Renzi le ha prospettate come una rivoluzione. Ancora una volta, però, si tratta di annunci e non di decreti e disegni di legge. Questi seguiranno. Forse. O magari seguiranno in parte. Ma intanto Renzi avvia il processo. Magari è una truffa, ma può anche essere un metodo: quello di creare il consenso sulle riforme per poi renderle praticabili. Si vedrà presto.
Nel merito dei singoli provvedimenti, una delle novità più importanti, anche se poco vistosa, è l’abolizione della distinzione tra dirigenti di prima e seconda fascia. Un sistema anacronistico, che oggi irrigidisce l’organizzazione degli uffici e ha l’unica ragion d’essere nella difesa delle posizioni (e degli stipendi) di un nucleo più ristretto di dirigenti.
Su mobilità obbligatoria e valutazione dei risultati, per ora, si può solo sperare che sia la volta buona. Un segnale forte è l’annunciato accorpamento delle (almeno) cinque scuole della pubblica amministrazione. Se ne parla da anni, ma finora nessuno è riuscito ad abbattere questo Moloch fatto di maxi-stipendi e incarichi di favore.
Altri intendimenti positivi sono l’estensione delle incompatibilità per i giudici amministrativi, le sanzioni per le liti temerarie e la stretta sul sistema delle sospensive negli appalti pubblici. Sorprende, invece, la facilità con cui Renzi ha liquidato in conferenza stampa la questione degli esuberi e dei risparmi nella pubblica amministrazione. In realtà, con le elezioni alle porte, se ne capiscono bene le motivazioni, ma non si può eludere un tema che in questi mesi ha monopolizzato il dibattito sulla spending review. Ricordiamo che nel piano Cottarelli si parla di 85mila esuberi possibili. Che fine hanno fatto?
Altrettanto accantonata appare la questione degli stipendi. Dopo tanto rumore di sciabole su privilegi e trattamenti eccessivi, il premier ha tagliato corto sulla questione ribadendo il solo limite di 240mila euro. Niente tetti intermedi, dunque, come invece si era ipotizzato nelle varie stesure del decreto sul bonus di 80 euro. Si pensava che la riforma della Pa sarebbe tornata sul tema, ma invece niente. Renzi sembra aver archiviato quei tetti. Rinunciando di fatto a ingaggiare uno scontro con categorie influenti, come quelle degli alti dirigenti pubblici, dei magistrati e dei diplomatici.
È una questione non secondaria. Renzi ha ragione, infatti, nel sostenere – come ha fatto ieri – che la riforma non deve essere contro i lavoratori pubblici. Ma perché la riforma sia una buona riforma deve saper superare le opposizioni corporative. Deve saper scontentare qualcuno per fare il bene dei tanti. Altrimenti ancora una volta la “rivoluzione” nella burocrazia sarà solo un cambiare tutto per non cambiare niente.
Ma qui si va oltre e si tocca il punto chiave su cui si gioca il riformismo di questa nuova generazione al potere. Il consenso, che il premier sa costruire con straordinaria efficacia, può essere un ariete dalle corna potenti per sfondare le tante resistenze e imporre le riforme di cui il Paese ha bisogno. Ma se il consenso diventa il metro su cui misurare ogni passo, il principio e il fine dell’azione del governo, quel consenso si trasformerà in una gabbia nella quale il riformismo renziano verrà archiviato come un’ennesima stagione di illusionismo politico.
Il SOle 24 Ore 01.05.14