Matteo Renzi sa benissimo in quale (altro) vespaio sta per andare a ficcarsi e mette le mani avanti: «Molte cose faranno discutere» dice il presidente del Consiglio. Oggi assieme al ministro Marianna Madia il presidente del Consiglio presenta i primi provvedimenti sulla pubblica amministrazione e annuncia che il metodo sarà «diverso dal solito». E infatti, anziché prendere di petto come al solito lo statale, sempre fannullone nell’accezione comune, salva la truppa (che tra l’altro in questa fase rappresenta anche un bel bacino elettorale) ed esclude tassativamente che ci siano degli esuberi, quindi punta dritto contro i dirigenti. I capi, i veri privilegiati. Tutta gente che di qui a breve potrebbe essere addirittura licenziata e che certamente si vedrà tagliare in maniera significativa lo stipendio. Poi, giusto per restare sul terreno degli argomenti delicati, e proseguire nel braccio di ferro con la magistratura, annuncia che intende pure affrontare il problema della giustizia amministrativa, o meglio dello strapotere dei Tar. Posto che in Italia nel settore degli appalti, come aveva denunciato mesi fa, lavorano più gli avvocati che i muratori.
Di riforme della Pa ne abbiamo viste già tante negli ultimi vent’anni, alcune si sono rivelate inutili, altre hanno prodotto danni, altre sono partite bene e poi si sono arenate nel ventre molle della macchina pubblica. Nel frattempo costi e inefficienze sono finite sulla groppa di cittadini e imprese.
Anche per questo la sfida che Renzi si appresta a lanciare è particolarmente difficile. E certamente anche molto popolare. Non a caso mentre i sindacati, tutti, dai confederali all’Ugl sino a quelli dei dirigenti, protestano per il mancato coinvolgimento, il presidente del Consiglio usa pugno di ferro e guanto di velluto: annuncia che su tutta la materia verrà effettuata una consultazione pubblica aperta a tutti, spiegando poi che «la riforma non si fa contro la Pa ma coinvolgendo le persone, sfidandole». Il suo obiettivo dichiarato è «beccare i fannulloni e farli smettere e valorizzare i tanti non fannulloni dando un premio a chi non è fannullone, incentivando gli scatti di carriera e magari lo stipendio». Popolare e populista in un colpo solo.
Discorsi un po’ diversi riguardano invece i dirigenti, per i quali si annunciano certamente tempi difficili. «Servono dirigenti che facciano i dirigenti – ha spiegato ieri il premier – non è possibile poi che il premio di produzione aumenti con l’indennità e a prescindere dai risultati e dalla situazione del Paese. Se il Paese va male anche i dirigenti devono stringere la cinghia». Verranno pertanto ridotte le parti variabili e di posizione e gli importi saranno agganciati ad una serie di parametri, compresi quelli dell’intera struttura. E poi, più avanti, verranno unificate le assunzioni e si arriverà alla totale intercambiabilità dei funzionari. Che pertanto avranno molti meno poteri (anche di interdizione) di oggi.
Quanto ai Tar, per i quali già nei mesi scorsi si era arrivati ad ipotizzare addirittura l’abolizione per farne delle sezioni specializzate dei Tribunali ordinari, si interverrà soprattutto sui poteri di sospensiva, che oggi bloccano l’attività di enti locali e Parlamento, «frenando lo sviluppo economico», e che pertanto verranno ridotti.
Programmi ambiziosi, certo. Che Renzi e Madia illustreranno oggi al termine del Consiglio dei ministri nel corso del quale si aprirà formalmente il cantiere di questa nuova, grande riforma. Sfida impossibile? Renzi ci prova citando John Kennedy: «Io so che è difficile, ma gli obiettivi non si scelgono perché sono facili ma perché sono i più difficili». Ha ragione: la cosa più difficile che può fare il governo è cambiare la pubblica amministrazione. Ne sanno qualcosa tanti suoi predecessori. Secondo Renzi è roba addirittura «da marines». Vedremo se i corpi speciali basteranno a vincere quella che si annuncia come una vera guerra di trincea.
L’Unità 30.04.14