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"Renzi apre sulle riforme Sfida a Grillo e Berlusconi", di Vladimiro Frulletti

Dopo l’incontro al Colle, il premier apre sulle riforme: «L’accordo si troverà». Berlusconi e Grillo? «Due facce della stessa medaglia». E’ sicuro che il pantano o le sabbie mobili non lo inghiottiranno, ma forse proprio per questo sembra pronto anche a rivedere alcuni dettagli della sua corsa pur di evitare di finire dentro pozzanghere troppo grandi e profonde. Così, non a caso proprio il giorno dopo il faccia a faccia col Capo dello Stato, Renzi spiega che sul progetto delle riforme l’intesa è davvero vicina e che quindi non sarebbe politicamente intelligente legarsi (fino a rischiare l’immobilità) a dei dettagli. Né temporali né di merito.

Quindi sebbene resti l’obiettivo di ave- re la prima votazione nell’aula del Senato del disegno di legge costituzionale prima del 25 maggio, giorno delle elezioni europee e amministrative, «una settimana in più» non cambierebbe molto visto che sono trenta anni che il Paese sta aspettando.

«Non mi impicco a una data – dice Renzi da Lucia Annunziata su Rai Tre – se serve una settimana in più che se la prendano». Quel 25 maggio infatti non va letto per Renzi come dettato da esigenze elettorali (non sarà il nuovo Senato a portare voti al suo Pd, dice, ma la lotta alla disoccupazione), bensì come il segnale alla classe politica che il tempo a disposizione è davvero scaduto. Che l’urgenza non è un’esigenza di Renzi, ma delle «famiglie che stanno a casa e non ne possono più».

Ma l’importante ora è arrivare in fondo. Su province e auto blu il risultato già c’è, fa notare. Ed è talmente importante raggiungere l’obiettivo di rifondare buona parte delle istituzioni che anche sul nodo fin qui rimasto irrisolto del Senato Renzi non si chiude a riccio.

Prima il premier puntualizza come l’intesa sia larga e solida sugli altri aspetti caratterizzanti la riforma. E cioè l’abolizione del Cnel, il nuovo rapporto fra Stato e Regioni previsto dal nuovo Titolo V su cui ha dalla sua parte, fa notare, anche gran parte delle Regioni, guidate dal presidente dell’Emilia Romagna Vasco Errani, e la fine del bicameralismo perfetto. Che vuol dire che il futuro Senato sarà una «Camera delle Autonomie e dei rapporti con l’Europa» che non vota la fiducia, non vota il bilancio e non ha membri che percepiscono indennità. I famosi tre paletti. Quanto al quarto, Renzi spiega che l’importante è che i senatori non siano eletti, altrimenti rientra dalla finestra il bicameralismo che era stato fatto uscire dalla porta.

«Dietro l’eleggibilità diretta c’è l’obiettivo di continuare a produrre ceto politico». È accettabile invece che uno che «fa il sindaco o il consigliere regionale» possa «un paio di volte alla settimana» stare a Roma a confrontarsi sui temi che interessano le autonomie locali.

Di questo discuterà stamani col capo- gruppo al Senato Luigi Zanda e la presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro, e domani mattina con tutti i senatori democratici. Il confronto sulle riforme infatti va fatto con tutti, ribadisce, con Forza Italia (e annota come Berlusconi sia tornato sui propri passi), Lega, Grillo e quindi ovvia- mente anche con la minoranza Pd, anche se nel suo partito, fa notare, le decisioni sono già state prese, riferendosi sia al risultato delle primarie che alle deliberazioni della direzione.

«Mi piacerebbe fare una di quelle battute che facevo quando ero giovane», si morde la lingua Renzi, ma ora gli interessa solo trovare «una soluzione». Il che però non gli impedisce di difendere le proprie ragioni da chi l’accusa, da sinistra, di volere una svolta autoritaria. Ammette che un premierato forte non lo scandalizzerebbe visto che così funziona negli altri Paesi europei, che certo non posso- no dirsi non democratici, tuttavia ora aprire questo fronte significherebbe far saltare le riforme. Quindi tace. Semmai ricorda come la fine del bicameralismo non solo era nel programma di Prodi del 2006, dell’Ulivo del 1996, ma anche di Berlinguer del 1981. Insomma pare difficile appiccicarci sopra qualsiasi etichetta di destra anche da chi è mosso da «pre- giudizio» nei suoi confronti. Intanto oggi sarà dalla De Filippi per registrare la puntata di sabato prossimo di Amici. L’altra volta col giubbotto da Fonzie si attirò molte critiche da sinistra. Attacchi di una sinistra snob ed elitaria, disse, che così ha deciso di sfidare di nuovo. E da sinistra infatti difende gli 80 euro per chi guadagna poco. Spiega che le coperture ci sono («con piumino e passamontagna») visto il rigore di Padoan, che ha fatto abbassare le previsioni di crescita del Pil dall’1,1% allo 0,8% (tanto che per fine anno Renzi s’aspetta sorprese positive). È infatti di sinistra che per la prima volta il governo restituisca qualcosa alle famiglie. Ed è proprio questo che stanno cercando di nascondere Grillo e Berlusconi con le loro cortine fumogene. Tra cui va messa la frase «sbagliata e inaccettabile» dell’ex Cavaliere sui lager e i tedeschi che Renzi pone sullo stesso piano con quella di Grillo sui campi di concentra- mento. Quei due sono «facce della stessa medaglia». Ed è dall’alto delle loro ricchezze che possono considerare poca co- sa 80 euro in più al mese. «È spocchia», dice. Forse per Grillo valgono come due biglietti di ingresso a un suo spettacolo, ma «a un metalmeccanico che guadagna 1100 euro al mese cambiano la vita».

L’Unità 28.04.14

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“Renzi, ecco il nuovo patto sul Senato”, di Francesco Bei

Un Senato eletto ma con i senatori scelti tra i consiglieri regionali. È questo il punto di mediazione sulla riforma di Palazzo Madama sul quale Matteo Renzi ricompatta il Pd e va all’affondo finale sulle riforme dopo la giravolta di Berlusconi. «In questo modo — spiega il premier — i senatori non assumerebbero compiti di giunta o di commissione, avrebbero l’incarico specifico di sedere in Senato. Sarebbero pagati dalla loro regione e non ci sarebbero aggravi di spesa ». Su questa ipotesi ci sarebbe anche il via libera del leader forzista che intanto in tv attacca il Colle: «Mi fece fare brutta figura con l’Ue, non firmando un decreto». Napolitano, dal canto suo, striglia le Camere sulle carceri e ringrazia il Papa per la telefonata a Pannella. Ormai è fatta. Il nuovo Senato non sarà elettivo ma formato da consiglieri regionali. Questi tuttavia lavoreranno a tempo pieno a palazzo Madama. In vista di mercoledì, quando i relatori Finocchiaro e Calderoli dovranno depositare il testo base della riforma, una trattativa riservata è stata condotta per tutto il fine settimana e avrebbe prodotto questa soluzione di compromesso. Su cui sarebbe anche arrivata, rivelano fonti di maggioranza, la benedizione del Quirinale.
L’accordo sul nuovo Senato «è ormai a un passo», conferma Matteo Renzi a In 1\ 2 ora . Certo, il premier continua a considerare come «punto di mediazione» quello di consiglieri regionali «che individuano al proprio interno quale di loro mandare al Senato ». Ma in realtà la trattativa sarebbe più avanti, impostata sulla proposta condivisa da Ncd e resa pubblica dal senatore lettiano Francesco Russo: nuovi senatori eletti dai cittadini insieme ai consigli regionali ma in un listino a parte, dunque consiglieri regionali a tutti gli effetti, pagati dalla loro regione ma scomputati dal totale.
Su questa clausola anche la minoranza bersaniana, che domani si ribattezzerà ufficialmente “area riformista” (aperta anche a lettiani e fioroniani), è pronta a chiudere l’intesa. Abbandonando Vannino Chiti e il suo progetto di Senato elettivo al suo destino. «Ci sono tutte le condizioni — conferma il “riformista” Alfredo D’Attorre — per trovare un buon accordo di maggioranza che coinvolga anche Berlusconi». E la proposta Chiti? «Bisogna interloquire civilmente con il senatore Chiti, ma il suo ddl non è la proposta di Area riformista».
Che il clima sia cambiato rispetto al muro contro muro dei giorni scorsi — un «pit stop» minimizza Renzi — lo dimostrano anche le parole del premier dall’Annunziata: «Sarei disonesto intellettualmente se dicessi che non è successo nulla. Berlusconi ha chiesto di cambiare alcune cose e credo sia del tutto legittimo che le riforme si facciano ascoltando Berlusconi, Grillo e anche la minoranza del Pd». Anche sulla data limite del 25 maggio, il capo del governo è conciliante: «Non mi impicco sulla data. Io comunque penso ci siano le condizioni per farlo entro il 25 maggio, se poi arriva il 7 giugno non è un problema».
Dopo le sparate di giovedì da Vespa, anche l’ex Cavaliere lascia intendere che la musica è cambiata. «Renzi in un Cdm autonomamente e senza ascoltarci — ricostruisce Berlusconi — ha deciso che il Senato sia composto tutto da sindaci e che il Capo dello Stato può nominare 21 membri, su questo abbiamo detto subito che non siamo d’accordo, e che su questa parte si doveva discutere: ho incontrato Renzi e ci siamo trovati subito d’accordo. L’importante è sederci al tavolo e ragionare su come individuare i nuovi membri del Senato. Io nella mia vita ho sempre mantenuto i patti».
Intanto Renzi, forse per allontanare il sospetto di essersi piegato ai diktat della minoranza interna, non rinuncia a tirare un calcio a quei «dirigenti politici di sinistra che vivono di pregiudizio». Quelli che lo accusano di «non essere di sinistra e di volere riforme autoritarie». Ma già «nel 1981 Enrico Berlinguer parlava di superamento del bicameralismo perfetto e dopo di lui nel ‘96 l’Ulivo e Prodi nel 2006». Attacco a cui nessuno risponde, ma D’Attorre — pur ribadendo l’intesa sul Senato — già individua il prossimo terreno di scontro con il segretario- premier: «Dopo le europee dovremo riparlare dell’Italicum. Ormai quella legge appartiene a un’altra stagione. Va cambiata sulle preferenze, sulla rappresentanza di genere e sulle soglie di sbarramento ». Oggi Renzi procederà all’ultima messa a punto della bozza costituzionale insieme al capogruppo Luigi Zanda e alla presidente della commissione Anna Finocchiaro. Poi domani affronterà la prova dell’assemblea dei senatori. Ultimo passaggio chiave, il seminario sulle riforme a cui saranno invitati anche quei «professoroni » contro cui polemizzò il ministro Boschi. Fra tutti Rodotà e Zagrebelsky.
Se l’opposizione interna al Pd è in via di superamento, il premier dovrà presto affrontare un’altra condizione che sta per porgli Angelino Alfano. Sempre sulla riforma costituzionale. A spiegarla è Andrea Augello, capogruppo Ncd in prima commissione: «Per blindare la riforma vogliamo che nella legge sia previsto comunque un referendum confermativo da tenersi al primo turno elettorale utile». Se Forza Italia si sfilasse, la maggioranza andrebbe avanti unita fino al referendum. Tenendo anche in vita la legislatura.

La Repubblica 28.04.14