«Pensavo a tutto quel che era accaduto in quella lunghissima giornata, ma pensavo soprattutto al domani»: sono le parole con le quali Ada Gobetti commentava, nel suo Diario partigiano appena ripubblicato, la grande giornata del 25 aprile 1945. Fate attenzione a questa frase: «pensavo soprattutto al domani». La donna che era stata accanto al giovane, intransigente antifascista Piero Gobetti proiettava subito l’esperienza resistenziale su un orizzonte futuro. Questa mi sembra la lezione più essenziale: «Non ci sarebbero più stati bombardamenti, incendi, rastrellamenti, arresti, fucilazioni, impiccagioni, massacri. Questa era una grande cosa», scrive ancora Ada. Poi aggiunge: «Si trattava di non lasciar che si spegnesse quella piccola fiamma d’umanità solidale e fraterna che per venti mesi ci aveva sostenuti e guidati».
Tocca ancora a noi tenere viva quella fiamma: e non come esercizio retorico o di conservazione istituzionale del passato, ma appunto come una storia che implica ancora e sempre il presente, se siamo disposti a proteggere quelle conquiste, a non tradirle. Le manifestazioni di ieri e di ogni 25 aprile in tutta Italia sono un presidio: conforta pensare ai ragazzi della Rete degli studenti dell’Emilia Romagna che insieme agli universitari di Bologna ieri mattina, prima di salire su un treno diretti a una cerimonia, hanno affisso sui muri del capoluogo manifesti con le frasi di Gramsci, Pertini, Calamandrei. Non è un caso che siano frasi di uomini esemplari e che appunto siano il segno di modelli di libertà e dignità politica. «I giovani non hanno bisogno di prediche – sono parole di Pertini -, i giovani hanno bisogno, da parte degli anziani, di esempi di onestà, coerenza e altruismo».
E questo è il punto: prima di chiederci se i giovani sanno o non sanno cosa è accaduto il 25 aprile del ’45, chiediamoci quanto a quell’evento siano stati fedeli, nei decenni, i padri. Se questi padri hanno saputo dare un esempio. Se questi padri hanno dimenticato, prima ancora che con la perdita della memoria, con la perdita della dignità. Nel toccante film documentario «La memoria degli ultimi» del giovane Samuele Rossi, un ex partigiano oggi novantenne rivolge a sé stesso una domanda: di fronte all’Italia come è oggi, è valsa la pena di quel sacrificio? Ci pensa un istante, poi risponde che sì, ne è valsa la pena. Comunque e nonostante. E questa non è solo la risposta di un partigiano, è la risposta collettiva di gente che ha lottato e si avvia a lasciare la scena. Gente per la quale tutto ciò che noi, nati al sicuro, sappiamo dai libri o dai film è stata vita vissuta. L’addio alle famiglie, i ponti minati, le montagne da valicare, la paura, la fame, anche la violenza, certo, perché ce n’è stata, e brutale. L’hashtag legato al documentario e a un progetto di archiviazione delle testimonianze sulla lotta partigiana è #nonperderelamemoria, ma non basta questo, non bastano le conferenze e i convegni nelle scuole. Occorre rivitalizzare questa memoria, far sì che i più giovani se ne «approprino» con i loro strumenti, reinventino il racconto, per una via emotiva prima che intellettuale: come è nel caso di alcuni romanzi di questi anni, firmati da autori nati molto dopo gli eventi (Paola Soriga, Giacomo Verri, Simona Baldelli e altri), o nel film «Bimba col pugno chiuso», dove la storia di una giovanissima staffetta partigiana – Giovanna Marturano, classe 1912, scomparsa da poco – viene reinterpretata alternando al documentario inserti di animazione che fanno di Giovanna qualcosa di più che una testimone: la protagonista di un incredibile e toccante «romanzo» dal vero.
Come hanno scritto per il suo mancato 102° compleanno i bambini di una scuola di Roma: «Combattendo ogni giorno senza paura e con determinazione una guerra diversa, hai lasciato un’impronta nella storia e nei nostri cuori».
Da quei cuori che si avviano a diventare adulti, possono ripartire le domande giuste. Quelle in grado di proiettare sul presente il senso del 25 aprile. Sono le domande che gli ex partigiani protagonisti di «La memoria degli ultimi» ripetono con occhi carichi di dubbio e insieme di speranza: i ragazzi di oggi farebbero ciò che abbiamo fatto noi, se servisse? Sarebbero in grado di lottare per la libertà propria e del loro Paese? Non è necessario andare molto lontano da qui per vedere che c’è chi lo fa, chi aspetta e cerca di costruire altrove un altro 25 aprile.
da L’Unità