I gufi almeno per un po’ smetteranno certo di gufare, i rosiconi invece probabilmente continueranno a tormentarsi sostenendo, magari, che la manovra di Renzi non funzionerà. Il taglio del cuneo fiscale però è varato, e a partire da fine maggio regalerà a 10 milioni di italiani 640 euro netti in sette mesi. Sono 80 euro in più al mese e per chi guadagna 1200-1500 euro è come se gli entrasse in busta paga l’equivalente di un rinnovo contrattuale. Non poco di questi tempi.
Certo gli incapienti, tutti quelli che stanno sotto la soglia degli 8 mila euro e che non pagando tasse il bonus non lo possono ricevere, sono rimasti a bocca asciutta. Ma per soddisfare anche loro sarebbero serviti almeno altri 2 miliardi e mezzo di euro. Renzi e Padoan, lo si è capito dal tira e molla degli ultimi giorni e dal menù finale delle coperture squadernato venerdì al termine del Consiglio dei ministri, hanno fatto fatica a trovarne 6,9, immaginiamoci dover arrivare a 9,5.
Se Renzi avesse seguito le logiche che in passato hanno ispirato le mosse di altri governi molto probabilmente non avrebbe fatto nulla. Condannando il paese a restare inchiodato, fermo a boccheggiare sulla soglia di una crescita dello zero virgola.
Inaccettabile per uno come il nostro presidente del Consiglio, un tipo che certo ha già dimostrato di non conoscere le mezze misure e che pertanto, anche in questa occasione, ha deciso di scartare mettendo in campo il massimo delle risorse possibili pur di dare una spinta alla crescita. Sul fronte delle entrate il governo è così andato a colpo sicuro spremendo nuovamente le banche e aumentando le tasse sulle rendite finanziarie (per iniziare a sforbiciare l’Irap pagata dalle imprese), operazione che garantisce cassa e pure consenso popolare. Quindi ha frantumato la revisione della spesa in cento capitoli: un po’ dallo Stato, un poco dalle Regioni e un poco dai Comuni, un poco alle caste (dagli alti burocrati ai politici), senza «dimenticare» la Rai e gli editori di giornali. Dunque un poco da tutti, puntando al sodo, all’incasso sicuro.
Renzi ha insomma fatto tutto il possibile, anche abbondando con le una-tantum, pur di portare a casa le famigerate coperture necessarie a tagliare il cuneo fiscale. Il premier è infatti convinto che assieme a quella delle riforme, questa sia la sua vera scommessa, una di quelle su cui si gioca davvero la faccia. Ma mentre per il Senato si parla del 2015, questa ha un orizzonte temporale molto più ravvicinato. Diciamo i sette mesi di validità del bonus.
Di qui a fine anno per consentire al governo di uscirne bene dovranno però realizzarsi due condizioni. La prima, la più importante, quella a cui il governo preme di più, è il consolidamento della crescita (e quindi la ripresa del lavoro), a cui dovrebbe certamente contribuire l’operazione 80 euro, così come l’accelerazione dei pagamenti degli arretrati della pubblica amministrazione. Più liquidità nelle tasche degli italiani e a disposizione delle imprese infatti dovrebbero, nel primo caso, far riprendere i consumi interni; e nel secondo accelerare la ripresa degli investimenti. La seconda condizione riguarda il conseguimento dei target di risparmio: entro l’anno capiremo se lo Stato è davvero capace di riformarsi e mettere a segno quelle economie di cui si parla da tempo, se la spending review è solo una cortina fumogena oppure un vero progetto di riforma di tutta la macchina pubblica.
La scommessa di Renzi è però anche una scommessa sul ceto medio italiano, su una fascia di popolazione che più di altre, negli anni passati, si è fatta carico del risanamento del Paese, e che da tempo aspetta dal governo un segnale di attenzione. Annunciare un provvedimento a suo favore e mantenere la promessa fatta nei tempi indicati contribuisce certamente a rafforzare gli indici di fiducia delle famiglie. E’ questa, al pari dei soldi in più in busta paga, è la miglior cura che si possa immaginare per un Paese ancora malato. Alla faccia dei gufi i segnali ci sono tutti (ad aprile, secondo l’ultima ricerca Censis-Confcommercio, per la prima volta dal 2011 il numero degli ottimisti ha superato quello dei pessimisti di 12 punti) e ci dicono che siamo sulla buona strada. Vedremo poi a fine anno se i conti torneranno davvero tutti.
La Stampa 20.04.14