Una palla di neve che rotola e diventa valanga. Un’auto spinta in discesa e il motore che finalmente si sblocca e parte. E’ in un effetto così, adesso, che spera Matteo Renzi, il premier che «ha mantenuto la promessa» ma che sa che l’impegno assunto con gli italiani – e alla fine rispettato – potrebbe non bastare. Il giorno dopo il bagno d’orgoglio e d’ottimismo, insomma, il quadro si fa più chiaro per tutti, e il giovane segretario-premier non nasconde nemmeno a se stesso il persistere di zone d’ombra e di preoccupazioni.
Quella che riserva agli uomini a lui più vicini, infatti, è un’analisi che per una volta – forse la prima volta – mischia assieme serenità e timore: la serenità di chi ritiene di aver fatto quanto possibile, insomma, ed il timore che anche questo – alla fine – possa non bastare. Sono tante, infatti, le cose che si possono rimproverare a Renzi: ma non l’essere un ingenuo, e neppure il cavalcare l’ottimismo a ogni costo.
«Credo che si sia fatto il massimo di quel che si poteva fare – ha spiegato, così, ai suoi collaboratori -. L’obiettivo, si sa, era doppio: iniettare fiducia e ottimismo nelle vene di un Paese deluso e provato, e metterci nelle condizioni di agganciare quel po’ di ripresa che si profila all’orizzonte. La speranza è che entrambi gli obiettivi vengano centrati – ha annotato – che i consumi ripartano, che la gente torni a spendere e gli imprenditori ad investire. Se la ricetta è giusta, lo si vedrà solo tra qualche mese. I conti li faremo in autunno, e se saranno in rosso…».
Matteo Renzi sa che se saranno in rosso sarà difficile sfuggire all’epilogo profetizzato da Silvio Berlusconi nel giorno del suo ritorno in tv: si voterà tra un anno e mezzo. In caso di fallimento della ricetta proposta, infatti, l’effetto-valanga potrebbe prendere una direzione precisamente opposta a quella sperata, e resistere diventerebbe impossibile per chiunque. Da qui ad allora, però, tempo per fare ed agire ce n’è: ed il premier è già pronto a ripartire con la fase due, della quale ha chiari tempi, tappe e obiettivi.
Il punto di ripartenza sono le riforme, quella elettorale e quella del bicameralismo cosiddetto perfetto. La tappa intermedia sono le elezioni europee di maggio, che secondo ogni sondaggio potrebbero riservare al Pd ed al suo segretario un risultato così buono da esser letteralmente impensabile ancora un paio di mesi fa. La volata finale verso la «sentenza d’autunno», invece, è il semestre italiano di presidenza Ue, occasione unica per raggiungere notorietà e consacrazione internazionale, e per tentare di correggere per quanto possibile meccanismi decisionali e rotta europea.
E’ un percorso dall’esito non scontato, ma Renzi conta molto sul successo dei primi passi: le misure varate per rilanciare consumi ed economia, passi avanti per l’Italicum e per la trasformazione del Senato, e infine un risultato elettorale – a maggio – che lo metta al riparo prima di tutto dalle evidenti voglie di rivincita che animano più e più anime del suo Partito democratico. Nel Pd, infatti, coltelli e polemiche sembrano temporaneamente accantonate e riposti: ma il premier non si illude che la quiete (assai recente, del resto) possa durare all’infinito.
D’altra parte, i nemici – come da tradizione per qualunque Presidente del Consiglio – aumentano, e Matteo Renzi non fa fatica a snocciolarne l’elenco: le grandi banche colpite dalla manovra; i magistrati ed i manager pubblici cui è toccata uguale sorte; i sindacati troppo spesso snobbati; i dipendenti pubblici, forse, e certamente pezzi importanti del cosiddetto mondo politico, sempre più insofferenti di fronte agli affondo del «rottamatore». Molti nemici molto onore, si sarebbe detto un tempo. Ma quel tempo è cambiato: e di questa piccola folla che attende e affila i coltelli, diciamo la verità, Renzi farebbe onestamente a meno…
La Stampa 20.04.14