Raffaele Cantone ha finalmente ottenuto i lasciapassare per insediarsi sulla poltrona di commissario anti-corruzione, lì dove lo ha voluto Renzi. Ieri era nella sua stanza di magistrato della Cassazione. È emozionato perché, per la prima volta nella sua ventennale carriera che lo ha visto pm a Napoli contro la camorra e dalla camorra minacciato di morte, da 3 giorni è fuori ruolo. Sulla scrivania i tantissimi messaggi che ha ricevuto dal giorno della nomina.
«Mi scrivono via sms, via mail, o per lettera, e c’è un leitmotiv che mi colpisce molto, la comune fiducia nel fatto che una svolta è possibile».
La corruzione? «Uno dei mali peggiori della nostra democrazia». L’Italia è redimibile? «Io credo proprio di sì, e ci sono tante energie positive che aspettano solo di essere utilizzate». Le leggi attuali sono sufficienti? «Sicuramente servono delle decisive correzioni». La battaglia di Renzi contro la burocrazia? «La condivido al cento per cento. La cattiva burocrazia è la madre della corruzione». E quella contro gli sprechi? «La corruzione è essa stessa fonte di sprechi, perché molto spesso il valore degli appalti lievita proprio per pagare il prezzo della corruzione». Se il nostro Paese vince la scommessa dell’anti-corruzione ciò comporterà dei vantaggi tangibili per l’economia? «Sicuramente sì, perché il miglioramento della posizione dell’Italia nelle classifiche internazionali incentiverà gli investimenti, soprattutto quelli stranieri».
Mai come nel suo caso c’è stato un consenso bipartisan che ha portato a non registrare alcuna voce di dissenso sulla sua nomina. Nell’Italia delle divisioni questo è davvero singolare non trova?
«Il dato è obiettivamente interessante perché i voti che si sono susseguiti al Senato e alla Camera erano segreti. Quindi del tutto spontanei. Sul piano personale la cosa mi ha particolarmente gratificato, ma dal punto di vista istituzionale ci ho visto la precisa volontà di una svolta nella lotta alla corruzione, perché è una priorità comunemente riconosciuta».
Parliamoci chiaro, i commissari, nel nostro Paese, non godono di buona fama, né in genere hanno dato clamorosi risultati. Anche nel caso della corruzione. Lei crede davvero che un commissario possa garantire una svolta radicale?
«Innanzitutto, io non sono il commissario anti corruzione…».
No, e che cos’è allora?
«Sono il presidente di un organo collegiale che giuridicamente è un’Autorità indipendente e che, malgrado la denominazione, svolge una funzione molto chiara, deve controllare il rispetto delle regole di prevenzione imposte alla pubblica amministrazione dalla legge Severino. L’obiettivo dell’Authority non è quello di combattere la corruzione già avvenuta, ma di provare a prevenirla. Questa è la grande scommessa della legge del 2012».
Capisco il suo entusiasmo, ma si metta nei panni degli italiani tempestati dalle notizie di una corruzione dilagante a tutti i livelli dello Stato…
«Pensare che qualcuno abbia la bacchetta magica per bloccare una situazione simile è illusorio. Io, ovviamente, la bacchetta non ce l’ho. Una lotta dura come questa non può essere vinta né in 6 mesi, né in 2 anni, ma l’obiettivo è di provare a invertire il trend, cioè creare le condizioni perché il fenomeno regredisca a condizioni fisiologiche, perché i fenomeni corruttivi esistono da sempre, e in qualsiasi tipo di Stato. La questione chiave è di riportare il livello della corruzione a quello delle società occidentali evolute. La grande scommessa è che sia la pubblica amministrazione a creare al suo interno gli anticorpi per combattere la corruzione».
Cantone, si fermi. Cosa sta promettendo agli italiani, un autopulizia che, se va bene, darà risultati tra dieci anni?
«Io posso promettere solo una cosa, il massimo impegno ed entusiasmo personale a lavorare in quest’impresa. E metterei la firma se il sistema potesse migliorare in un termine molto più breve, perché vorrebbe dire invertire la tendenza.
Ma è evidente che l’Authority anticorruzione
non può cambiare da sola la situazione della lotta alla corruzione. Il mio ufficio è solo un tassello che richiede tutta un’altra serie di pezzi del puzzle».
Qual è il programma dei suoi primi cento giorni?
«Non solo un politico, e quindi non faccio programmi di questo tipo. Per come sono abituato a lavorare, cercherò subito di capire come funziona l’ufficio, quali mezzi può utilizzare e quali sono le sue potenzialità. Inutile fare battaglie senza capire qual è l’esercito in campo. Io non faccio nessun proclama. Mi aspetto ovviamente che al momento opportuno la politica valorizzi la mia nomina unanime e renda l’Autority più efficace e più incisiva».
Quali poteri chiederà per garantire risultati efficaci?
«Il primo, e fondamentale passaggio, è quello di completare la squadra con gli altri membri dell’Authority. Sono certo che i componenti scelti condivideranno il mio entusiasmo nel credere in quest’impresa. L’Authority oggi ha poteri ispettivi, ma non sanzionatori, che invece sono assolutamente necessari per rendere effettivi i controlli. La legge Severino prevede una serie di obblighi per le pubbliche amministrazioni, da quello di dotarsi di piani anti- corruzione, al rispetto delle regole di trasparenza negli appalti. Noi svolgeremo la vigilanza, ma poi bisogna sanzionare in modo adeguato chi non rispetta gli obblighi stessi».
Non le pare che il bilancio della Severino sia negativo? Le inchieste si moltiplicano, la prescrizione le falcidia, il famoso caso della concussione divisa a metà è tuttora aperto.
«Ho sempre pensato che la legge fosse un primo passo positivo ma da completare, sia sul piano della prevenzione che della repressione. È sicuramente necessario incidere sulla prescrizione, ma anche prevedere meccanismi che stimolino le collaborazioni, proprio come succede per la mafia. Servono norme ostacolo per la contabilità delle imprese come un rafforzato falso in bilancio. Bisogna rafforzare la norma sulla corruzione tra privati. Un sistema penale che non funziona rappresenta il più grosso incentivo al ripetersi della corruzione, perché non espelle dal sistema i soggetti corrotti e non rappresenta una contro spinta sul piano psicologico per non delinquere. Rischia solo di lasciare nei posti chiave dell’amministrazione soggetti di dubbia moralità e di mandare un messaggio contraddittorio alle persone perbene. È indispensabile una fortissima sinergia tra momento repressivo e momento preventivo».
Lei chiederà di allungare la prescrizione, di cambiare il falso in bilancio, di chiudere la partita dell’autoriciclaggio?
«Sicuramente le considero scelte prioritarie in una complessiva logica di contrasto alla corruzione».
È fin troppo tempo che gli stessi magistrati sollecitano queste riforme. Non ritiene che il tempo dell’attesa, anche per il governo Renzi, sia ormai scaduto?
«In verità, il tema della prescrizione andrebbe affrontato in modo complessivo perché riguarda una quantità enorme di reati e perché l’immagine dell’inefficienza della giustizia italiana viene misurata sul numero delle prescrizioni».
Lei come la cambierebbe?
«La mia esperienza mi dice che una buona formula sarebbe quella di far ripartire l’orologio della prescrizione subito dopo una condanna in primo grado. Questo eviterebbe le impugnazioni dilatorie».
Da magistrato, non ce l’ha con Renzi per la polemica sui vostri stipendi?
«Se vengono chiesti sacrifici a tutti può essere giusto chiederli anche ai magistrati, purché non appaia assolutamente punitivo per la categoria».
La Repubblica 20.04.14