attualità, politica italiana

"Se il governo parla a sinistra", di Claudio Sardo

Ha dato la stura a varie congetture il voto favorevole di Sel alla proposta Renzi-Padoan di rinviare il pareggio strutturale di bilancio dal 2015 al 2016. Si è parlato della nascita di una terza maggioranza. Una terza maggioranza dopo quella di governo con il Nuovo centrodestra e quella sulle riforme con Forza Italia e si è persino almanaccato sull’uso possibile da parte del premier di queste geometrie variabili. Ma è sempre bene partire dai fatti concreti. Al pareggio strutturale l’Italia si è vincolata modificando addirittura l’articolo 81 della Costituzione. Una scelta contestabile e con- testata, benché sostenuta a suo tempo da un larghissimo consenso. Proprio la lettera della nuova norma costituzionale impone- va una maggioranza qualificata per consentire quel rinvio, senza il quale sarebbe saltata la manovra economica del governo e, ovviamente, il governo stesso. Il voto dei sette senatori di Sel (e di due ex grillini) non è risultato alla fine determinante per pochissime unità: ma, politicamente, è come se lo fosse stato. Sel ha deciso di contribuire al raggiungimento della maggioranza assoluta di Palazzo Madama proprio per marcare il segno anti-austerity della scelta governativa. Del resto, a sinistra sta crescendo la riflessione critica su quella modifica dell’art. 81. Ci siamo chiusi in una cella – ha scritto Giulio Sapelli – e abbiamo gettato la chiave: ora per aprire la cella siamo costretti a fabbricarci una nuova chiave. Sarebbe stata una follia per una forza di sinistra non assecondare un atto del governo, volto a interpretare in modo flessibile il canone europeo (e dunque a lanciare una sfida di cambiamento delle politiche europee). Semmai, in contraddizione sono caduti coloro i quali ieri inneggiavano alle virtù salvifiche del nuovo articolo 81 e oggi inneggiano al coraggio del governo di derogarvi già alla prima applicazione.

Ma torniamo al valore politico di quel voto. Non si tratta di un cambio di maggioranza. Non è possibile in questa legislatura sostituire il Nuovo centrodestra con una forza di sinistra radicale (neppure se questa dovesse scaturire dalla confluenza di Sel con tutti i grillini dissidenti). È prima di tutto l’aritmetica a negare questa possibilità. Tuttavia, ciò non vuol dire che il Pd non debba aprire un dialogo anche alla sua sinistra, e realizzare utili convergenze. La legislatura poggia su un terreno instabile. E il carattere pienamente politico del governo Renzi non cancella l’eccezionalità e al tempo stesso l’inevitabilità della coalizione che lo sostiene. Questa è una legislatura che nonvpuò non vedere alleati, per una fase, chi sarà avversario alle prossime elezioni. E non può neppure permettersi un altro fallimento sulle riforme: quando i cittadini saranno chiamati al voto per le politiche, dovranno avere un quadro chiaro e possibilmente stabile. La confusione e l’indeterminatezza stavolta possono far crollare l’intero sistema.

Il problema però sta nelle asimmetrie, sempre più numerose. Il Nuovo centrodestra è al governo, ma Renzi sembra favorire il dialogo con Forza Italia sulla legge elettorale e le materie istituzionali. Il partito di Alfano è insofferente, si lamenta in privato, ma in pubblico fa buon viso a cattivo gioco. Secondo lo schema (pessimo) dell’Italicum – che ricalca quello del Porcellum – il Nuovo centrodestra sarà obbligato ad allearsi con Berlusconi, e dunque deve trattenersi nella polemica. Il paradosso è che il Nuovo centrodestra tenta di rifarsi, esercitando il suo potere di interdizione non appena il Pd trova convergenze a sinistra, oppure quando corregge da sinistra le proposte del governo (come è accaduto con l’approvazione degli emendamenti al decreto Poletti sui con- tratti a termine).

Alfano e i suoi si sono assunti, insieme al Pd, il compito di guidare il Paese in questo frangente difficile, e ciò non può essere di- sconosciuto. Hanno rotto a destra e inferto a Berlusconi una sconfitta cocente. Ma neppure loro possono sopportare lo schema del- la doppia maggioranza, con Berlusconi che di fatto assume un potere di veto sulle riforme. Che Forza Italia sia al tavolo è bene. Ma che tocchi ad essa pronunciare il sì e il no definitivo non va bene per niente. Peraltro, stando al merito, Forza Italia continua a spingere la legge elettorale verso un’inaccettabile riproposizione del Porcellum.

Per questo l’emergere a sinistra di una nuova interlocuzione, benché esterna all’area di governo, rappresenta un fatto po- sitivo. Viviamo in un tripolarismo ormai sta- bile. Si illude chi pensa che una legge elettorale basti a riportare indietro l’orologio. Ma nell’asimmetria, la cosa più pericolosa è che Grillo – il terzo polo, o forse il secondo – rifiuti ogni responsabilità, e anzi lavori tenacemente affinché l’Italia vada sempre peggio. Proprio il voto dei Cinque stelle sul rinvio del pareggio di bilancio è la plastica conferma di una linea sfascista che vale per il governo come per le istituzioni. Come può giustificare un voto contro il rinvio chi osteggia l’austerità europea? Il punto è che Grillo vuole solo macerie. Anche per que- sto il Pd, e l’intero governo, dovrebbero valorizzare il dialogo con Sel (e con gli ex grillini che a Sel potrebbe legarsi). Dialogo a partire proprio dai temi istituzionali: aiuterebbe a migliorare l’impianto e a ridurre le pretese di Berlusconi. Per Renzi è un’opportunità. Non si tratta di cambiare caval- lo. Si tratta di guidare un Paese che non è più bipolare. È per questo, non per un pre- giudizio, che Berlusconi non può essere trattato come se fosse l’opposizione di Sua Maestà.

L’Unità 19.04.14