Taglio alle spese, dunque. Che tradotto significherà anche tetto agli stipendi pubblici, riduzioni di auto blu, spazi compressi per gli uffici, sacrifici per la Rai e la Difesa, F35 inclusi. E ancora riduzione (drastica nel triennio) della municipalizzate, da ottomila a mille. Rinuncia alle tariffe postali agevolate per i candidati alle elezioni. Dimagrimento dei bilanci degli organi costituzionali.
ACQUISTI
Razionalizzare la spesa per acquisti di beni e servizi. Questa la prima voce tecnica della dieta imposta alla Pubblica amministrazione dal governo. Tradotta in cifre: 2,1 miliardi, divisi tra Stato, Comuni e Regioni (incluse quelle a statuto speciale) in modo paritario, ovvero 700 milioni a testa. «In totale questa voce vale 100 miliardi. Sfoltirne 2,1 miliardi significa toccarne
il 2%, un’inezia», sottolinea il premier. Dei 700 milioni a carico dello Stato, la Difesa ha il compito di setacciarne 400, al cui interno 150 milioni emergeranno «rimodulando il programma di spesa per gli F35», ha precisato Renzi. Si tratta di uno «spostamento» dunque, non meglio precisato, ma non di un azzeramento tout court della discussa commessa militare. Come detto, gli enti locali hanno 60 giorni per tagliare i restanti 1,4 miliardi in modo selettivo. Altrimenti procederà il governo in via lineare. Vengono poi ridotti i centri di costo laddove le amministrazioni comprano beni e servizi – da 32mila a 35. I “soggetti aggregatori di riferimento” saranno Consip e una centrale di committenza per Regione.
SOBRIETÀ
Il secondo capitolo di spending review , ribattezzato “ sobrietà”, pesa per 900 milioni. Vediamo come si ripartisce. Riducendo i costi di gestione della Tesoreria dello Stato, Renzi pensa di ricavare 250 milioni. Ai ministeri si richiede di recuperare 200 milioni, agli organi costituzionali 60 milioni (presidenza della Repubblica, Camera, Senato, Corte Costituzionale, Cnel per 5 milioni). Alla Rai 150 milioni (viene autorizzata
a vendere RaiWay e riorganizzare le sedi regionali, «ma deciderà l’azienda»), ai candidati alle elezioni 10 milioni di francobolli. Lo svuotamento delle Province viene cifrato per 100 milioni di risparmi. Altri 100 verranno dalla rinegoziazione dei contratti di affitto delle sedi pubbliche. Qualche risparmio anche dalla riduzione delle auto blu (non cifrato ieri). Ancora 100 milioni da un primo sfoltimento delle società partecipate dai Comuni. E altri 100 milioni da un «ulteriore incremento della digitalizzazione della macchina pubblica, con l’anticipazione dell’obbligo per la fatturazione elettronica e la pubblicazione telematica di avvisi e bandi di gara» (dunque cade l’obbligo di uscire sui giornali). Non vengono toccati i Caf, nonostante i rumors della vigilia.
TETTO STIPENDI
Il punto più controverso dell’operazione è però il taglio agli stipendi pubblici. Controverso per l’evidente retromarcia, dopo le polemiche dei giorni scorsi. Nelle bozze del decreto di mercoledì e giovedì si prevedevano difatti quattro tetti, per tutti. Dai super vertici ai dirigenti di prima e seconda fascia, sino al dipendente. Queste fasce ora spariscono. Rimane un unico tetto che però – altra sorpresa – non è più riferibile da un punto di vista normativo allo stipendio del presidente della Repubblica (pare che Napolitano abbia chiesto di toglierlo), ma viene quantificato in 240 mila euro lordi annui. La sostanza non cambia, ma se il nuovo inquilino del Colle si alzasse in futuro la busta paga, questo tetto rimarrebbe lì a 240 mila euro. Vale per tutte le figure apicali, escluse società pubbliche quotate o non quotate che emettono bond (Ferrovie, Poste, Cdp), ma incluse le partecipate. Dunque anche capo delle Forze Armate e della Polizia, presidente di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, direttori generali di Inps, Inail e Rai (dunque anche Gubitosi), professori e chirurghi che sommano gli incarichi. Non vale però per gli artisti e presentatori ingaggiati dalla Rai, ha specificato ieri Renzi. In pratica, tutti coloro che oggi guadagnano 311 mila euro (lo stipendio del primo presidente di Cassazione, vincolo valido fin qui) rinunceranno a 70 mila euro dal prossimo primo maggio, dunque sui contratti in essere.
La Repubblica 19.04.14
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Renzi batte i burocrati “Manovra di sinistra volevano affondarla”, di FRANCESCO BEI e GOFFREDO DE MARCHIS
«E IO sarei quello di destra… Se ero di sinistra, che facevo?». Adesso il premier galleggia in una bolla di eccitazione, «per aver compiuto una vera rivoluzione», per aver mantenuto la parola data sulla riduzione dell’Irpef senza costi sociali. «La manovra è passata anche grazie alla tenuta di Padoan e del suo staff», riconosce con i suoi. Perché da Via XX settembre sono arrivati mille ostacoli. Tutti i mandarini del Tesoro «hanno cercato di cambiare il decreto fino all’ultimo», racconta Renzi. «Molti di loro, adesso, prenderanno uno stipendio inferiore» (Il capo di Gabinetto Garofoli – sottolineano a via XX Settembre – lo ha tagliato appena insediato due mesi fa). La resistenza era messa nel conto. Alla fine, però, il pacchetto è stato deciso e varato «a Palazzo Chigi», come spiega il sottosegretario Delrio. Da nessun’altra parte. «Quando la Lorenzin mi ha chiamato allarmata per le voci sui tagli alla salute le ho risposto: “Sono incavolato anch’io, è roba che non esce da qui”. Ogni volta toglievo la Sanità dal testo e quelli del Mef la rimettevano. Molte bozze apparse sui giornali non le avevo neanche mai viste».
Ci sono stati alcuni momenti decisivi in questa lunga partita. Una riunione con Vasco Errani, due giorni fa. «Un patto blindato» con il governatore emiliano e grande capo delle Regioni: «Noi non tocchiamo la Sanità ma tu mi aiuti con la riforma del Senato e del Titolo V, ok?». Errani ha risposto di sì e una posta importante delle coperture si è finalmente sbloccata. Le regioni dovranno tagliare circa 700 milioni di euro. «Lo faranno rivedendo i costi standard, ma senza toccare l’assistenza, gli ospedali, le cure ai malati». Se falliscono, ci penserà il governo a intervenire. Stavolta con la scure del commissario alla spending Cottarelli. Ma Renzi è sicuro che tutto filerà liscio, che gli enti locali capiranno, che l’idea di mettere in tasca 80 euro ai cittadini sarà un vantaggio anche per gli amministratori. «Con Padoan abbiamo fatto un accordo. Teniamo basse le coperture per avere sempre un margine di sicurezza ». Così dove si poteva scrivere 1,2 miliardi di recupero dell’evasione fiscale si è scritto “solo” 300 milioni. «Siamo stati seri, prudenti. Molto prudenti. Comunque abbiamo dato una manifestazione di potenza. Anche il Def è nato in cinque giorni ed è stato approvato con una maggioranza più risicata di prima».
Non riesce a tenersi alcune particolari e personali soddisfazioni commentando il decreto con i suoi fedelissimi. «Cinque macchine per ogni ministero. Sapete cosa significa? Mandiamo i sottosegretari a piedi, gli togliamo l’auto blu da sotto il sedere. È una cosa che mi fa godere». Smentiti anche i “gufi e i rosiconi” «e non mi riferisco ai giornali. Io parlo dei politici… «. Poi il godimento è aver battuto la burocrazia ministeriale. E aver ridotto gli stipendi di tanti dirigenti, soprattutto a via XX settembre. Con l’eccezione del capo di gabinetto Roberto Garofoli che si è autoridotto gli emolumenti già qualche settimana fa. Certo, per tirare fuori il grosso dei soldi il premier ha dovuto anche fare muro con la sua “squadra”. Diversi ministri avrebbero volentieri approfittato della corsia preferenziale assicurata dal decreto per infilarci norme di settore e nomine. Con loro Renzi ha fatto «una bella litigata », anche perché l’impegno preso con Napolitano e i presidenti delle Camere «era quello di non snaturare il provvedimento». Ma adesso la partita è finita. E l’obiettivo è rendere visibile la “restituzione”, come la chiama il premier, nelle buste paga di 10 milioni di italiani. «Con la scritta bonus magari. Sarebbe il massimo».
Festeggiano in tanti, nel governo. Chi ha ridotti i danni. Chi ha salvato i propri budget ministeriali. Alfano e Lorenzin hanno evitato i tagli alla sicurezza e alla salute. «Ma Beatrice — dice scherzando Renzi — sapeva già
che la salute non avrebbe subito i tagli. Ha fatto un po’ di sceneggiata… «. I ministri dell’Ncd hanno protestato per l’abolizione delle agevolazioni postali ai partiti. «Non abbiamo neanche il finanziamento pubblico noi», si è lamentato Maurizio Lupi. Ma il «treno» (altra definizione renziana) non si è fermato per così poco. Un ministro si è meritato anche il “grazie” pubblico in consiglio. «Con Roberta Pinotti la collaborazione ha funzionato benissimo», ha detto Renzi. La titolare della Difesa ha ridotto la sforbiciata da 700 a 400 milioni. E si è imposta contro i tecnici del Mef e contro Cottarelli. «Farò i tagli ma li decidiamo noi al ministero». Ha portato risparmi sugli investimenti e anche lo stop al progetto degli F35 per 153 milioni. Un’altra mossa che il Pd e l’esecutivo potranno usare durante la campagna elettorale per le Europee. Per rispondere a Beppe Grillo e per confermare la trazione a sinistra del partito e del suo segretario-premier.
La Repubblica 19.04.14
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