Dai «no euro» a Grillo fino alle diffidenze di Forza Italia. Liste nel complesso deboli. Se si deve giudicare dalle liste elettorali, non c’è da farsi molte illusioni sul voto europeo. Candidature deboli, nessun nome o quasi di vero richiamo, pochi esponenti della fatidica «società civile». E questo riguarda le liste di tutti i maggiori partiti. A cominciare da Forza Italia, in primo luogo, che deve affidarsi ancora una volta alla presenza scenica di un Berlusconi che ha riconquistato nonostante tutto il diritto di fare quello che sa fare meglio: le campagne elettorali (anche da non-candidato).
Il Partito Democratico non sta molto meglio, al di là della trovata pirotecnica delle cinque donne capilista. Il destino è affidato totalmente alle notevoli capacità di “marketing” politico messe in mostra da Renzi: nei fatti sarà lui, il presidente del Consiglio, il vincitore o lo sconfitto di queste elezioni a cui ha dato la sua impronta, misurando su se stesso l’intera posta in gioco. Gli altri, chi più chi meno, presentano ingigantiti gli stessi difetti dei due partiti maggiori. Il Nuovo centro-destra di Alfano, ad esempio, insegue il sogno di strappare una fetta di elettorato a Berlusconi, ma invece di combattere una battaglia d’opinione a viso aperto preferisce affidarsi specie nel Sud ai «signori del voto», come il calabrese Scopelliti condannato in primo grado a sei anni per abuso d’ufficio e falso.
Si dirà che anche le liste antagoniste, dai Cinque Stelle alla Lega, non brillano per il fascino e le competenze dei candidati. Tuttavia c’è una differenza di rilievo: loro non ne hanno bisogno, a differenza del circuito centrodestra-centrosinistra. Sia il partito di Grillo sia il Carroccio spostato a destra da Salvini cavalcano l’argomento più solido e più pericoloso di queste elezioni, l’euroscetticismo. O magari il rifiuto netto e demagogico della moneta unica.
Sul piano elettorale sono temi d’impatto, ci sono pochi dubbi. Non a caso l’ultimo sondaggio di Demopolis segnala che la fiducia nell’Europa non è mai stata così bassa nell’elettorato italiano. E ben il 34 per cento, una minoranza assai consistente, sarebbe per l’abbandono dell’euro e il ritorno alla lira. Chi ha impostato la campagna elettorale con l’idea di dar voce a tale tipo di malessere verso l’Europa, corre in discesa: quale che sia l’esito finale di questa scelta politica, il raccolto elettorale immediato si annuncia tutt’altro che scarso.
Questa in effetti è la stagione dell’euroscetticismo. E può darsi che le ricette di Renzi non abbiano il tempo di attecchire, convincendo gli elettori. Le riforme prima bisogna farle, senza cercare scorciatoie. E poi è necessario attendere che esse cambino la vita degli italiani. Solo a quel punto si trasformano in solido consenso elettorale. Per ora siamo ancora nella fase dell’annuncio. Idem per il taglio dell’Irpef. Al netto del vaglio europeo, comunque indispensabile, resta il fatto che gli 80 euro sono, sì, un’idea per ricompattare l’elettorato e magari favorire un po’ di domanda interna, cioè di consumi. Il guaio è che anche qui ci vogliono tempi medio-lunghi. In altri termini, è chiaro che il voto europeo suscita parecchie incognite nei partiti, chiamiamoli così, dell'”establishment”. Ed è un terreno di scorribanda per le opposizioni, tutte a caccia di quel 34 per cento anti-euro. Con Berlusconi che sta già remando per allontanarsi dalla sponda europea e andare a ingrossare le file degli scettici. La partita è cominciata e si annuncia assai intricata.
Il Sole 24 Ore 18.04.14