Gli editori presentano i dati di quella che definiscono «la crisi nella crisi»: la drammatica situazione della carta stampata, soprattutto dei quotidiani, comparto che sta vivendo il suo anno più buio e sprofonda in una recessione ben peggiore del resto dell’economia italiana. Più che un grido di dolore suona però come una tromba di carica. Finito di illustrare le slide, la vice presidente Fieg Azzurra Caltagirone chiarisce qual è la ricetta degli editori per risolvere la divaricazione del 2013 della forbice tra costi e ricavi: nel 2013 che si sta chiudendo per le aziende nel rapporto tra costi e ricavi si è passato dal non aver margine al margine negativo, mentre il fatturato pubblicitario dei quotidiani è crollato del 19,4 per cento, le copie sono cadute del 6,5 complessivamente. «Siamo aziende in cui la prima voce di costo è quello del lavoro – ha detto Azzurra Caltagirone -, pur andando a una riduzione degli addetti la dinamica contrattuale non è più sostenibile. Così come il numero di addetti non è più sostenibile».
A suo dire andrebbe inoltre fatta una operazione svecchiamento del personale. Considerando il numero di giornalisti contrattualizzati, cioè assunti, come 15mila unità nei giornali e nelle agenzie di stampa, 5mila hanno almeno 50 anni e solo 735 meno di 30 anni. «Se vogliamo una modernizzazione ci servono invece 20 e 30enni, il futuro di questo Paese», dice l’editrice del Messaggero moglie di Pierferdinando Casini, anche senza chiarire come si può invertire questo rapporto, né come in questo passaggio possa essere salvaguardata «la qualità dei prodotti giornalistici e la loro autorevolezza», che pure gli editori riconoscono come obiettivo per invertire la rotta. Anche il presidente Fieg Giulio Anselmi ha indicato «la necessità di una maggiore flessibilità», aggiungendo che comunque «senza un sostegno di politica industriale non usciremo dalla spirale.» La domanda sottesa, cioè non formulata con punto interrogativo finale ma rivolta al nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria Luca Lotti, era: con il nuovo governo che fine farà il cosiddetto fondo Legnini ( 120 milioni di euro in tre anni) per incentivare innovazioni tecnologiche e digitali, piani di ristrutturazione e ammortizzatori sociali, leggi prepensionamenti e quote per l’occupazione di giovani professionisti. Lotti, presente al convegno, ha spiegato a margine dell’iniziativa che per la gestione dei 50 milioni di euro previsti quest’anno dal cosiddetto fondo Legnini per l’editoria le linee guida saranno queste: «Assunzione dei giovani e ristrutturazioni delle crisi aziendali, che dovranno dare delle garanzie sull’occupazione».
Gli editori puntano, dunque, flessibilità totale e spazzare via dinamiche di miglioramento contrattuale, insieme a una buona iniezione di finanziamenti pubblici per nuovi esodi e tagli al personale, incluso quello poligrafico: nelle redazioni di quotidiani e agenzie ci sono ancora 4.500 poligrafici di supporto a 6.500 giornalisti. Un rapporto indicato come «eccessivo». Mentre oltre alla prospettiva dei tagli, il negoziato per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, alle sue mosse iniziali dopo oltre un anno di vacanza, non sembra per ora decollare. Quanto all’analisi dei motivi della crisi, tanto «dei modelli di business » quanto del crollo delle copie vendute in edicola (tra il 2009 e il 2013, il numerodei giornalisti fuoriuscito è stato di 1.662 unità, di cui 887 nell’area dei quotidiani e 638 in quella dei periodici) e non compensate, se non in minima parte, da un aumento degli abbonamenti su tablet, non c’è molto nel rapporto Fieg 2011-2013. Nessuna analisi di dettaglio ad esempio sul mercato dell’informazione locale e la concorrenza dei siti di citizen journalism. Roberto Sommella, che ha presentato un suo studio, fa notare che nel 2011 c’è stata una piccola inversione di tendenza, un leggero aumento di lettura e vendita dei giornali (+ 1,8). Anselmi attribuisce la disaffezione dei lettori alla congiuntura economica e all’avanzare di un’offerta di informazione gratuita in rete. Avverte che le aziende non devono mollare il loro core business cartaceo, considera «un errore da non ripetere» le tv nate dai siti dei giornali, insiste su puntare su una pluralità di piattaforme con pubblici e modalità di scrittura diversi. L’esperimento di successo è il NewYork Times con i suoi ricavi da pay wall, notizie in esclusiva a pagamento sul web. Ma non nasconde che gli editori sono ancora allo slogan «digital first mentre ancora non è arrivato il digital on», ammettendo che l’innovazione è ancora una variabile poco conosciuta in Italia. Niente autocritica però. E nessuna slide sui profitti, inclusi quelli delle quotazioni in Borsa delle aziende editoriali.
L’Unità 17.04.13