ambiente, attualità

"La clessidra e l’effetto serra", di Pietro Greco

Ce la possiamo fare, ma abbiamo ancora poco tempo per agire. Meno di 17 anni. Poi tutto diventerà più difficile, se non impossibile. E saremo destinati a vivere in un pianeta con un clima mai sperimentato dall’uomo. È questo, in sintesi, lo scenario prospettato dal Working Group III dell’Ipcc nel quinto rapporto sulla mitigazione dei cambiamenti climatici redatto per conto delle Nazioni Unite. Lo scorso autunno il Working Group I aveva reso pubblico il rapporto sulla fisica dei cambiamenti del clima.

In quel rapporto si confermava che, con il ritmo attuale di emissioni di gas serra a opera dell’uomo, da qui a fine secolo la temperatura media al suolo del nostro pianeta aumenterà di una quantità compresa tra 3,7 e 4,8°C rispetto all’epoca pre-industriale. Alla fine dello scorso marzo il Working Group II ha pubblicato il rapporto sugli effetti che dovremmo attenderci a causa di un simile cambiamento del cli- ma. E ieri il Working Group III ci ha detto che possiamo sperare di contenere l’aumento della temperatura entro i 2°C rispetto all’epoca pre-industriale se utilizzeremo gli anni che ci separano dal 2030 per realizzare un drastico cambiamento nella produzione e nell’uso di energia. Questo cambiamento avrà un costo accettabile: dell’1 o 2% del Pil mondiale, se agiremo entro il 2030. Poi il costo salirebbe in maniera così accentuata (tra il 4 e il 6% del PIL) da rendere praticamente impossibile l’azione di riduzione delle emissioni di carbonio per restare entro i 2°C di au- mento della temperatura.

STILE DI VITA

A tutt’oggi la temperatura media del pianeta è aumentata di poco meno di 1°C rispetto all’epoca pre-industriale. Dunque l’obiettivo è contenere un ulteriore aumento entro un altro grado. Il che significa tentare di mantenere la concentrazione di anidride carbonica equivalente entro 430/530 ppm (parti per milione).

Sì può fare, sostiene il Working Group III. Agendo con flessibilità su diversi tasti. Il primo è certamente quello della produzione di energia elettrica, che da solo è responsabile del 25% delle emissioni globali di gas serra. Il 78% della produzione di energia elettrica è oggi affidata ai combustibili fossili. Occorre abbassare questa quota a non più del 20% entro il 2050 e praticamente a zero entro il 2100. Lo si può fare già con le tecnologie attuali: sia sostituendo i fossi- li con fonti rinnovabili e carbon free (so- lare, eolico, idroelettrico), sia utilizzando tecnologia di cattura e stoccaggio dei gas serra, sia infine utilizzando, ma solo come passaggio intermedio, il gas naturale al posto del carbone. Anche il nucleare può essere utilizzato, dicono gli esperti dell’Ipcc, anche se a esso sono correlati altri rischi.

Il secondo settore su cui bisogna agire è quello dell’agricoltura e delle foreste. L’uso dei terreni per produrre cibo e la deforestazione sono responsabili per il 24% delle emissioni attuali. Le emissioni in questo settore possono essere abbattute del 50% entro il 2050 modificando la produzione di cibo, cessando la deforestazione e attuando pro- grammi di riforestazione.

Ci sono poi i settori d’uso dell’energia. I trasporti, per esempio, che oggi sono responsabili del 14% delle emissioni totali di gas serra. Attraverso l’uso di tecnologie che abbattono l’intensità energetica (l’energia necessaria per compiere un tragitto unitario); lo sviluppo di infrastrutture a bassa emissione di carbonio, cambiamenti individuali e norme collettive, è possibile diminuire da qui al 2050 le emissioni di gas serra nel settore trasporti di un valore com- preso tra il 15 e il 40%.

Le abitazioni e gli uffici sono responsabili del 6,4% delle emissioni globali di gas serra. È possibile stabilizzare queste emissioni e persino ridurre attraverso tecnologie che consentono di isolare gli edifici e di risparmiare energia.

C’è poi l’industria, responsabile del 21% delle emissioni globali di gas serra. L’intensità energetica (ovvero l’energia necessaria a produrre un’unità di ricchezza) può essere ridotta in questo settore del 25% già oggi semplicemente utilizzando le migliori tecnologie disponibili. Un ulteriore 20%, sostengono ancora gli esperti dell’Ipcc, può essere abbattuto mediante l’innovazione di processo. Infine buoni risultati nella riduzione delle emissioni di gas serra si possono ottenere facilmente riorganizzando la nostra vita nel luogo ove ormai vive più della metà della popolazione mondiale, la città.

I COSTI

Tutto ciò, ripete il Working Group III, è tecnicamente possibile e ha un costo accettabile: l’1 o 2% del Pil. Un costo, tutta- via, che non tiene conto dei benefici che la prevenzione dei cambiamenti climatici apporta. In un pianeta più caldo, infatti, gli effetti diretti (maggiore frequenza e intensità di eventi meteorologici estremi, migrazioni, sanità) e indiretti (opere di adattamento) comporteranno enormi costi economici. Ben superiori ai costi della prevenzione. Dunque, occorrerà considerare questi ultimi come dei veri e propri investimenti.

Il rapporto del Working Group III contiene una novità: per la prima volta ci chiama in causa individualmente, sostenendo che è anche attraverso il nostro stile di vita che è possibile dare un contributo significativo alla prevenzione dei cambiamenti climatici. Contiene anche dei limiti: non indica con sufficiente chiarezza quali sono i metodi migliori per raggiungere l’obiettivo. Ma non concede più alibi alla politica, senza la quale la mitigazione è impossibile. Indicando chiaramente qual è l’obiettivo realistico. E quali sono i tempi per raggiungerlo. Scaduti i quali consegne- remo ai nostri figli e ai nostri nipoti un pianeta dove sarà più difficile vivere rispetto a quello che abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri.

L’Unità 15.04.14