Il tempo stringe: per salvarci abbiamo appena 15 anni. È la previsione degli scienziati Onu che hanno prodotto il rapporto sulla situazione ambientale del Pianeta. L’effetto serra non solo esiste ma è in inesorabile crescita. La media delle emissioni globali è aumentata di un miliardo di tonnellate all’anno. La richiesta ai leader mondiali è dunque di ridurre da subito la dipendenza da petrolio e carbone.
L’effetto serra c’è e cresce inesorabilmente, nonostante le promesse dei governi e la crisi economica che perdura. Tra il 2000 e il 2010 la media delle emissioni globali è aumentata di un miliardo di tonnellate all’anno, a un ritmo più veloce dei decenni precedenti, raggiungendo «livelli senza precedenti». È il verdetto emesso dagli scienziati del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), riuniti a Berlino per presentare la terza e ultima parte del quinto rapporto sul clima, redatto sotto l’ombrello dell’Onu.
Sul banco degli accusati c’è l’uso intensivo del carbone come fonte energetica in alcuni Paesi, tra cui in primis la Cina, gli Stati Uniti e l’India. Ma anche in Europa c’è chi ha fatto dei passi indietro. Nonostante gli investimenti fatti sulle rinnovabili dal governo Merkel in Germania negli ultimi due anni le emissioni sono cresciute leggermente e questo a causa dell’abbandono progressivo del nucleare dopo il disastro di Fukushima.
A questo punto, però, il tempo stringe. Per tenere il surriscaldamento globale entro i due gradi centigradi dal livello pre-industriale, occorrerà tagliare subito, entro quindici anni, le emissioni di CO2 e gas serra per arrivare a una riduzione tra il 40% e il 70% rispetto al 2010 entro il 2050. L’obiettivo è arrivare a un valore prossimo allo zero entro la fine del secolo. La segretaria della Convenzione quadro dell’Onu sul cambiamento climatico, Christiana Figueres, che guida i colloqui, ha invitato i Paesi a innalzare le ambizioni collettive: «L’unico percorso sicuro è quello che prevede di arrivare a un mondo a zero impronta di carbonio nella seconda metà del secolo». Mentre uno dei tre co-presidenti del gruppo di lavoro Ipcc, il tedesco Ottmar Edenhofer, ha affermato che «non possiamo perdere un’altra decade».
Se, invece, non si faranno gli sforzi necessari lo scenario sarebbe catastrofico: la temperatura media del globo terrestre potrebbe crescere tra 3,7 e 4,8 gradi centigradi alla fine del secolo con le conseguente che sappiamo: aumento delle acque, incendi, cicloni, desertificazione, aria irrespirabile.
Alla fine è solo una questione di volontà politica, sembrano dire gli esperti, circa 235 autori provenienti da 58 Paesi che hanno messo a confronto oltre 10mila fonti scientifiche sull’argomento. E la strada da seguire è chiara: puntare sulle energie rinnovabili che oggi rappresentano solo il 17% del fabbisogno energetico. Il passo non sarebbe nemmeno troppo oneroso economicamente. Ridurre il riscaldamento richiederebbe investimenti pari allo 0,6% del Pil annuale. «Al mondo non costerà salvare il pianeta», ha spiegato il tedesco Ottmar. L’obiettivo è di triplicare l’uso delle rinnovabili entro il 2050.
Ci riusciranno i leader del mondo? Per ora si registra il commento positivo del segretario di Stato Usa, John Kerry, che ha parlato di «una nuova sveglia che mette bene in chiaro che ci troviamo di fronte ad una questione di volontà globale, non di capacità». Ma i nemici di un cambio di passo a livello ambientale sono tanti. E nonostante gli scienziati si dicano sicuri al 95% che è l’uomo il responsabile dell’effetto serra, c’è sempre chi è pronto a tirare fuori una nuova teoria per rimandare l’abbandono di carbone, petrolio e affini.
Il Corriere della Sera 14.04.14