Tutto pronto per le nomine delle grandi aziende pubbliche Enel, Eni, Finmneccanica e probabilmente per Terna e Poste. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio annuncia il rispetto della parità di genere anche nella scelta dei manager. A Repubblica, Delrio spiega anche come verrà finanziato il bonus da 80 euro per i redditi più bassi. Il capo dello Stato, intervistato da Fazio, dice che bisogna ridurre il debito «per i figli e non per la Ue: non si può lasciare ai giovani un fardello da ottanta miliardi all’anno d’interessi».
Con le nomine delle grandi aziende pubbliche il governo si propone «una rivoluzione culturale» attraverso la promozione di manager uomini e donne in egual misura. «Una sostanziale parità di genere – annuncia il sottosegretario a Palazzo Chigi Graziano Delrio – per colmare un ritardo dell’Italia che è di almeno 30 anni». Oggi Matteo Renzi sceglierà i vertici di Eni, Enel, Finmeccanica e Poste. Ma questa è anche la settimana del decreto sul taglio dell’Irpef, gli 80 euro in busta paga da maggio, con le relative coperture. «Taglieremo gli incentivi ai settori improduttivi dice Delrio – e faremo anche un intervento sulla sanità. Le Regioni più efficienti non hanno nulla da temere dalla spending review. Le altri sì. Con loro useremo il bisturi perché l’inefficienza di qualcuno non può essere pagata da tutti gli italiani». Alla minoranza che prepara la battaglia contro l’Italicum, il sottosegretario risponde: «E’ giusto discutere, ma non ripetiamo gli stessi errori che abbiamo commesso ai tempi di Prodi e dell’Ulivo. Non è vero che il Pd può fare da solo. In questo modo il centrodestra ci consegnò il Porcellum, una norma incostituzionale che abbiamo usato per otto anni. Il dialogo con l’opposizione è indispensabile».
Oggi è il giorno delle nomine. Siete pronti o ci sarà un rinvio?
«Siamo pronti per Enel, Eni e Finmeccanica i cui vertici scadono adesso. Renzi vuole fare anche le Poste, per dare il segnale di un governo che affronta subito i nodi».
Fra i criteri per il cambio dei manager c’è anche quello del rinnovamento totale?
«Queste aziende producono utili, lavoro e alcune fanno politiche energetiche. Sono fra le più importanti del Paese. Le scelte devono essere improntate a una vera e seria competenza».
E il ricambio? E le donne che finalmente scalano i vertici?
«Il desiderio è quello di proporre volti nuovi, ma ciò che cerchiamo di fare non è la rottamazione generazionale. È piuttosto una rivoluzione culturale. Per questo, sì, è vero che puntiamo a promuovere le donne, fino ad arrivare a una sostanziale parità di genere nelle nomine. Lo facciamo per colmare un ritardo italiano che è di almeno 30 anni rispetto ad altri Paesi. Così com’è successo con la scelta di 8 donne ministro. Una sostanziale parità farebbe avanzare l’Italia nella concretezza molto più di tanti proclami ».
Al momento della formazione dell’esecutivo, Renzi ricevette alcuni no. Stavolta?
«C’è stata una ricerca delle migliori intelligenze. Renzi da tempo ascolta tantissime persone eccellenti. Vogliamo dirigenti capaci e che siano orgogliosi di guidare aziende che sono un patrimonio dell’Italia. Come accade in Francia».
E i no?
«Sono stati pochissimi. Più che altro erano dei “sì ma”, dei “vorrei ma non posso”».
Vittorio Colao, amministratore delegato di Vodafone?
«Al di là di Colao, i rifiuti non ci sono quasi stati. Del resto, un manager fa più volentieri l’ad di una grande azienda pubblica anziché il ministro o il parlamentare. È una situazione oggettivamente diversa».
Nelle società quotate in Borsa girano stipendi 10 o 20 volte superiori a quelli che avete fissato per la Pubblica amministrazione. Taglierete anche lì?
«Sono società che stanno sul mercato. Ma esiste la direttiva Saccomani. È seria e impegnativa.
Prevede un intervento molto robusto: una diminuzione del 25 per cento rispetto agli emolumenti dei precedenti amministratori ».
Si parla di un passaggio di Mauro Moretti dalle Ferrovie a Finmeccanica. Non è un favore a Italo, il concorrente di Trenitalia, che ha chiesto la testa dell’ad?
«Non parlo di nomi neanche sotto tortura. Ma non ci facciamo influenzare da nessun tipo di concorrenti. Con tutto il rispetto per chi esprime certi giudizi, se per caso dovesse realizzarsi una simile ipotesi non succederebbe perché qualcuno ha chiesto la testa di qualcun altro».
Ce la farete a varare il decreto che taglia l’Irpef, i famosi 80 euro in busta paga, questa settimana?
«Sicuro».
Quindi è il momento in cui i 4,5 miliardi di spending review prenderanno corpo. Sono previsti tagli agli incentivi?
«Nel senso di quei settori che supportiamo in maniera inutile, ovvero dei settori parassitari, la risposta è sì. Ma noi miriamo a una spending che sia vera, cioè via i soldi a comparti totalmente improduttivi, ma niente tagli lineari a settori strategici o che servono all’economia italiana. Fare un serio risparmio sulla spesa pubblica sarà una grande fatica collettiva e tutti devono comprendere che ogni euro dello Stato speso male è un euro in meno che entra nelle tasche degli italiani. Saremo maniacali nel cercare questi sprechi. E non ci piegheremo ad alcun interesse di parte. Le lobby sono avvertite ».
Ma la sforbiciata su beni e servizi tocca i cittadini, non le lobby.
«Se dico taglio i beni e servizi, dalla sanità alla scuola, non voglio dire che tolgo la carta igienica ai bambini o che non compro un ecografo alla Asl. Sto parlando invece di Regioni, enti locali e Stato che hanno contratti di servizio da rivedere. Fino ad oggi il pubblico pagava a 380 giorni e il fornitore in pratica metteva una sovrattassa sul prezzo per compensare il ritardo. Noi adesso garantiamo il pagamento in 60-70 giorni, ma le aziende fornitrici firmeranno un nuovo patto con lo Stato rinegoziando le tariffe. Su 60-70 miliardi di forniture complessive, ci sono spazi dell’1 o 2 per cento di risparmi. Ossia, 1,4 miliardi. È più faticoso dei tagli lineari ma dobbiamo farlo».
Taglierete il trasporto pubblico?
«È un settore non all’altezza di un grande Paese. Per questo, si può fare molto di più di una riduzione degli incentivi su benzina e biglietti. Lo sforzo principale è che le aziende si aggreghino, trovino partner privati e rispettino costi standard che abbiamo già individuato».
Spariranno gli incentivi all’autotrasporto?
«Il tema è molto delicato. Per certi settori in difficoltà bisogna fare un discorso complessivo».
Si parla di un taglio nella sanità di 1 o 2 miliardi. C’è una bella differenza.
«Abbiamo concluso l’analisi dei costi standard e si prevedono diversi miliardi di risparmio. Il ministro Lorenzin sta scrivendo il nuovo Patto della Salute e i risultati si avranno anche nel breve periodo».
Serviranno anche per gli 80 euro?
«Sì. La mia idea è che le Regioni dovrebbero essere orgogliose di rimettere i soldi in tasca ai loro cittadini riducendo le addizionali Irpef. Ne avranno un vantaggio politico. La maggiore efficienza si tradurrà in 1,5 miliardi di tagli nel 2015. Sono tagli non al sistema sanitario ma realizzati con il recupero di funzionalità. Le Regioni che sono già efficienti non devono temere nulla dalla spending. Le altre sì. Con loro useremo il bisturi, per restare in argomento. Non possiamo rimanere con settori della Pubblica amministrazione dove si pensa che la propria inefficienza verrà comunque pagata da altri. E le Regioni che faranno più progressi avranno l’impegno dello Stato ad aumentare i fondi comunitari per gli investimenti».
La minoranza del Pd annuncia battaglia sulle riforme e soprattutto sulla legge elettorale. È finita la tregua?
«Esistono opinioni differenti. La sinistra però ha perso le sue sfide per dividersi e guardarsi l’ombelico. Io ricordo la lezione dei grandi socialisti italiani come Camillo Prampolini: uniti si è tutto, divisi si è nulla. È giusto discutere, è folle riportare indietro il Pd ai contrasti intorno all’Ulivo e a Prodi».
Bersani dice che sono cambiati i rapporti di forza e non ci si può far imporre l’Italicum da Berlusconi. Non ha ragione?
«Non è così. Sarei molto più prudente nel dire facciamo da soli. Il centrodestra fece da solo con il Porcellum e ci siamo tenuti una norma incostituzionale per otto anni. Non è la legge migliore del mondo, ma nella scrittura delle regole il dialogo con l’opposizione è indispensabile».
La minoranza vuole tornare maggioranza.
«Auguri. È un’ambizione lecita quando si è sconfitti. L’ha avuta anche Renzi. L’importante è che non venga scalfita l’unità rispetto ai problemi del Paese, come fece Matteo durante la campagna elettorale. Forse il contributo di idee la minoranza poteva darlo in un giorno diverso dalla presentazione delle candidature per le Europee. Ma è più un problema di opportunità che di sostanza.
La Repubblica 14.04.14