In queste elezioni europee si fronteggiano due linee, «Si euro ma con più Europa» e «No euro e quindi No Europa». Mentre per i primi l’euro doveva essere il viatico per l’unione politica, come testimonia il motto «money first» lanciato da Jenkins e Delors a sostegno del progetto euro, per i secondi si invoca sovranità monetaria e quindi l’uscita dall’euro e dall’Europa.
Sono due linee legittime ma devono essere declinate correttamente. Cosa che non avviene quando gli antieuropeisti utilizzano le critiche all’euro senza Europa politica, fatte da premi Nobel come Krug- man, Stiglitz, Amartya Sen, o da illustri italiani come il professor Savona, a sostegno delle loro tesi. O come i fautori dell’uscita tendono ad ignorare i costi, enormi, che graverebbero sui cittadini.
Il professor Savona è quello più citato a sproposito dai fautori dell’uscita dall’euro, Lega in testa, che ha messo la scritta «no euro», nel simbolo per le elezioni europee. Vediamo cosa scrive Savona in merito (Milano finanza, 28.12.2013): «Uscire dall’euro? Mai detto, ma ciò non può significare che non si debba essere preparati a farlo (il piano B)….Uscire oggi dall’euro è un problema molto serio che richiederebbe una intensa azione diplomatica preparatoria per nuove alleanze, come lo richiedono le norme per restarvi…In breve, no uscire dall’euro ma dall’incubo e rientrare nel sogno europeo, è quello in cui abbiamo sempre creduto e che resta un passaggio storico indispensabile». Mi pare che Savona invochi, giustamente, più Europa per non morire di austerità da euro senza Europa.
Vorrei consigliare gli anti euro ed anti Europa, tra cui Matteo Salvini di interpretare correttamente i messaggi di quanti sono «per l’euro ma con più Europa» e le stime dei costi di una uscita dall’euro. A questo proposito basterebbe che consultasse gli amici svizzeri della banca Ubs, che sono stati i primi, a quantificare in 10mila euro, la perdita netta che ogni cittadino di un eventuale Paese uscente dall’euro avrebbe subito nel primo anno dell’operazione. Va premesso che per uscire dall’euro non esistono norme specifiche, che sarebbero da inventare e con potere contrattuale minimo di un paese contro altri 17. Oltre l’Opting-out, evocato dal professor Savona (art.cit.) come possibile norma per uscire dall’euro, ma che a me pare valere per non entrare in un «patto ristretto», come fece la Gran Bretagna rifiutando l’eurozona, una norma che potrebbe essere invocata è l’articolo 50 del Trattato di Lisbona che tratta di «recessione dalla Ue» e non specifica alcunché sulla uscita dall’Uem. Secondo quest’articolo uscire dall’euro, implicherebbe anche l’uscita dalla Ue.
Sembrerebbe un po’ troppo, ma le carte sono queste, e danno un’idea delle complicazioni reali e burocratiche che una eventuale dichiarazione di intenti del genere aprirebbe. Tanto per cominciare l’affermazione che «basterebbe un week end per uscire dall’euro» è una balla, tra le tante fatte dagli euro- scettici in questi giorni. Bisognerebbe avvisare l’Uem e la Bce delle nostre intenzioni ed inventare una procedura che non c’è.
E cosa farebbero nel frattempo gli investitori-risparmiatori con titoli del Tesoro e con conti correnti in euro, italiani e stranieri? Non starebbero ad applaudire. Farebbero la fila agli sportelli per vendere Bot e Btp e per spostare i loro euro all’estero in mani più affidabili. Con probabili fallimenti bancari se lo Stato non intervenisse come con divieti e chiusura delle banche come in Argentina. Una delle co- se su cui tutti gli esperti convengono è nella quantificazione di una svalutazione della nuova lira del 30%-50%. Senza contare i problemi del debito e dei tassi d’interesse. I possessori di titoli di Stato, alla scadenza, avendo acquistato in euro, vorranno essere ripagati in euro e lo Stato o si adatta ed in pochi mesi esaurisce la valuta, perché i rimborsi superano le vendite di nuovi titoli, o pretende di rimborsare in lire. Ma a che cambio? Quello fissato dal Tesoro un euro=una lira o quello fissato dal mercato 1 euro= 1,3-1,5 lire? La differenza sta i 2 cambi vale tra il 30% ed il 50%. Il rapporto debito/Pil passerebbe in breve tempo oltre 150 e lo spread salirebbe al cielo!
C’è un’altra soluzione, obbligare Bankitalia a comprare i titoli, com’era una volta, stampando moneta e, naturalmente, facendo salire l’inflazione a due cifre. Allora salirebbero anche i tassi di interesse per combattere l’inflazione, con pene elevate per i possessori di mutui. Poiché salari e pensioni sarebbero in lire e senza scala mobile, ecco in pochi mesi l’erosione del potere d’acquisto dei cittadini che la Ubs stima in almeno 10mila euro «per il primo anno». E poi? Poi Dio vedrà, se non saremo tutti morti, malgrado i maghi dell’uscita facile dall’euro.
L’Unità 11.04.14