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"In università pochi apprendisti", di Claudio Tucci

Nato una decina di anni fa con le migliori intenzioni di integrare mondo della formazione terziaria e impresa, l’apprendistato in università stenta ancora a decollare. Con numeri che parlano chiaro: nel 2012 a fronte di 504mila contratti di apprendistato “professionalizzante” (quello di secondo livello, utile “a imparare un mestiere”) appena 234 hanno riguardato l’apprendistato per l’alta formazione e la ricerca (di cui 142 solo in Lombardia).
Performance che segnano forti distanze rispetto a Paesi nostri competitor, come la Francia che su 420mila giovani occupati ogni anno con contratti di apprendistato, oltre il 10% (vale a dire più di 42mila unità) frequentano studi a livello terziario. Il confronto è praticamente impari con la Germania che con il suo “sistema duale” occupa, anche se prevalentemente nel ciclo secondario, quasi 1,7 milioni di ragazzi che vengono ospitati dalle aziende tedesche (70% nel settore dell’industria e commercio; il restante 30% nelle imprese artigiane). E anche in Inghilterra è in corso un dibattito su una nuova proposta di riforma dell’apprendistato (la «Richard Review») che fa perno sulla necessità di porre più saldamente nelle mani dei datori di lavoro la gestione del contratto (l’imprenditore cioè scommette sull’apprendista e il finanziamento pubblico è «on results», legato al raggiungimento degli obiettivi previsti dal contratto).
E in Italia? L’apprendistato di alta formazione è stata una scommessa della legge Biagi del 2003. E per farlo decollare l’allora governo ha finanziato con 11,5 milioni di euro un progetto pilota con le regioni per coinvolgere circa mille apprendisti. Ma l’impegno si è concentrato essenzialmente sull’attivazione di master (oggi il 90% dei contratti di apprendistato di terzo livello è finalizzato al conseguimento del titolo di master, mentre è bassissimo l’utilizzo nell’università). Nel 2008, poi, il Dl 112, ha ricompreso il dottorato di ricerca tra i titoli conseguibili con l’apprendistato e previsto, nei casi di inerzia regionale, che l’attivazione dell’alto apprendistato potesse essere rimessa ad apposite convenzioni stipulate tra imprese e atenei (o altre istituzioni formative). E con il decreto Carrozza si è voluto rilanciare ancora l’apprendistato in università, con un riconoscimento di un massimo di 60 crediti.
Ma i nodi che hanno frenato (e frenano tuttora) l’apprendistato di terzo livello sono essenzialmente rimasti tutti in piedi. E queste esperienze sono rimaste sperimentazioni (e non realtà strutturate e organiche). Lo strumento non è ancora abbastanza conveniente per le aziende. C’è una iper regolamentazione regionale e il placement universitario è piuttosto “fiacco”. Tant’è che in Crui, la conferenza dei rettori italiani, c’è un gruppo di lavoro per capire come far decollare apprendistato (e tirocini formativi).
«Servono ulteriori elementi di supporto – spiega il professore di diritto del lavoro della Luiss, Roberto Pessi – e il compito di modellare i profili formativi va affidato a imprese e atenei». La Luiss, con il dipartimento di Impresa e management, spiega Pessi, «sta mettendo in piedi un progetto di apprendistato per i dottorati industriali. E per la laurea magistrale stiamo facendo un censimento delle aziende disponibili a cui proporremmo un percorso di apprendistato che non penalizza la presenza del ragazzo nell’impresa, anche attraverso l’e-learning». C’è poi il progetto «Fixo» di Italialavoro che prevede contributi pari a 6mila euro per ogni apprendista assunto a tempo pieno (che scendono a 4mila per gli apprendisti part-time). Ma oltre alle difficoltà (da superare) ci sono best practice. Dal 2007 a oggi Assolombarda ha contribuito a realizzare 311 assunzioni con apprendistato per conseguire un master, coinvolgendo 50 aziende. A ciò si aggiungono tre apprendistati per il corso di laurea, e uno per il dottorato di ricerca. L’ultimo a decollare, con una Pmi e l’università Cattolica di Milano, è un innovativo progetto di ricerca, strutturato in modo molto flessibile, dal titolo «Nuovi modelli di pubblicità dei prodotti finanziari».
Anche l’ateneo di Bergamo, assieme alla scuola di alta formazione Adapt, è sugli scudi per l’apprendistato di alta formazione e ricerca. «Con una fatica incredibile – evidenzia il professor Michele Tiraboschi – perché il quadro regolatorio dei dottorati di ricerca complica non poco la vita essendo pensato per la carriera puramente accademica e non per percorsi aziendali». In tutto, dal 2009 a oggi, aggiunge Tiraboschi, «abbiamo realizzato 18 apprendistati di alta formazione in dottorato e una trentina di apprendistati di ricerca fuori dal dottorato».

Il Sole 24 Ore 09.04.14