Il sonno dell’Europa genera mostri. Un mostro è Fidesz, il partito di Viktor Orbàn, che ha vinto le elezioni in Ungheria sulla base di un politica ultranazionalistica e autoritaria sul piano interno.
Non è ancora chiaro se riuscirà a conservare la maggioranza dei due terzi dei parlamentari che gli consentirebbe di proseguire la sua politica di smantellamento delle garanzie nell’ordinamento democratico del paese, ma comunque la sua vittoria è chiara. Jobbik, il partito fascista alla sua destra, ha avuto un successo temperato per fortuna dalla buona (e inattesa) tenuta dell’opposizione democratica, ma il suo estremismo xenofobo, revanscista e antisemita che va a sommarsi all’autoritarismo in doppio petto di Fidesz rende ancor più minacciosi i molti fantasmi dell’eversione che si agitano per l’Europa, dalla Francia lontana alla vicina Ucraina.
La conferma dello strapotere di Orbàn racconta all’Europa il contrario di quello che predicano le anime belle delle attuali istituzioni di Bruxelles e del Ppe, il partito popolare cui l’uomo forte di Budapest e i suoi aderiscono. Senza che nessuno abbia mai posto loro un problema di coerenza. Anzi, il capogruppo del Ppe al parlamento europeo, Joseph Daul, ha fatto addirittura un comizio con il primo ministro magiaro. Ha «messo la faccia» (come si ama dire di questi tempi) sua e del Ppe accanto all’uomo che rivendica l’esistenza della Grande Ungheria in cui dovrebbero riunirsi tutte le minoranze sparse per l’Europa orientale. Che ha asservito al governo la Banca centrale e ha cacciato i giudici costituzionali che lo infastidivano. Che ha istituito un organismo che distribuisce direttive e «visti di qualità» ai giornali e alle tv per controllare che non diffondano notizie «inopportune, offensive e non rispettose delle esigenze di ordine pubblico». Che ha promosso una politica di incentivi alle imprese, dopo aver- le strette in una ragnatela di clientele, che fa a pugni con le direttive Ue.
Ora ci si può chiedere: se le autorità di Bruxelles fossero state più coerenti e più attente, se i partiti che fanno capo al Ppe, a cominciare dalla Cdu tedesca, non avessero pesato col bilancino dei propri vantaggi l’apporto di Fidesz al gruppo popolare nel parlamento europeo sarebbe cambiato qualcosa in Ungheria e lo strapotere di Orbàn sarebbe stato almeno contenuto? Poiché la controprova non c’è nessuno può dirlo. Si sa però che tempo fa il gruppo dei liberali europei propose l’apertura di un procedimento contro Budapest in base all’art. 7 del Trattato di Lisbona, quello che prevede la sospensione dei Paesi che non rispettano i criteri minimi di democraticità e di rispetto dei diritti fondamentali dell’Unione.
L’iniziativa fu bloccata, e non solo dai popolari, ma anche dai socialisti per- ché i loro colleghi ungheresi temevano che potesse sfociare nell’uscita pura e semplice del Paese dalla Ue. Patetica manifestazione di impotenza e di colpevole rassegnazione che dice tutto sulla debolezza della sinistra magiara, povera di idee politiche e ricca di scandali, non ultima delle cause della resistibile ascesa di Viktor Orbàn. A voler essere ottimisti si può pensare che il risultato migliore delle pessime previsioni che circolavano alla vigilia ottenuto dalla coalizione democratica tra i socialisti, centristi e liberali sia un primo segnale di risveglio. Un segnale, nulla di più.
Ma la riflessione più seria che l’Europa deve fare prendendo spunto da quanto accade in un paese piccolo ma importante nella sua geografia e nella storia come l’Ungheria è quella evocata all’inizio. Ed essa non riguarda solo la contingenza, l’imminenza di elezioni per il parlamento europeo che rischiano di far diventare l’unica istituzione dell’Unione votata dai cittadini la tribuna di un populismo senza princìpi che vuole sfasciare tutto. Riguarda qualcosa di ben più profondo. Oggi c’è un abisso tra la ragion d’essere dell’Unione europea, la comunità di valori che essa rappresenta, prima e oltre l’economia, e i comportamenti concreti delle sue istituzioni e dei governi nazionali. Alla freddezza sociale, l’inimicizia quasi verso i cittadini, che le politiche economiche europee hanno dispiegato con l’austerità, i tagli e le trojke specie negli ultimi anni, fa riscontro una colpevole insensibilità verso i diritti e i doveri della democrazia, che pure sono esplicitamente sanciti nella Carta fondamentale approvata 14 anni fa e recepita nei Trattati. Il problema, prima che con l’Ungheria di Orbàn, si era posto con l’Austria delle coalizioni con gli xenofobi di Jörg Haider e per qualche altro paese in più di un passaggio della sua vita politica. Inclusa l’Italia, almeno per quanto riguarda- va l’informazione e la giustizia, ai tempi del Berlusconi trionfante. A Bruxelles e nelle cancellerie si sono commessi peccati di omissione.
L’Unità 07.04.14