La politica internazionale può apparire dominata da eventi casuali. Ma in realtà funziona sulla base di aspettative razionali. Se tali aspettative si dimostrano sbagliate, l’ordine internazionale si dissolve. Gran parte dell’Europa non aveva previsto – come da ultimo ha sottolineato Ivan Krastev, uno dei migliori politologi della nuova generazione – che la Russia avrebbe reagito alla rivoluzione di Kiev annettendosi la Crimea. A essere onesti l’Italia, nelle discussioni del 2013 sull’offerta di partnership all’Ucraina, aveva cercato di mettere in guardia i colleghi europei.
Se non avessimo tenuto conto del «fattore Russia», ci saremmo trovati di fronte – questo il nostro argomento – a una reazione scontata e molto dura di Mosca. Ci saremmo insomma trovati nel guaio in cui siamo oggi: l’ordine europeo post 1989, il cosiddetto ordine del dopo guerra fredda, è crollato a pezzi sulle sponde del Mar Nero.
Quali sono le conseguenze? In nome delle aspettative razionali, possiamo scartare un ritorno puro e semplice alla guerra fredda. C’è chi lo teme, c’è chi lo prevede, ma non ci sarà. Per due ragioni. Primo: se è ormai chiaro che la Russia neo-imperiale interpretata da Putin intende a tutti i costi preservare un’area di influenza diretta ai confini – attraverso la combinazione fra hard power militare, leva energetica e utilizzo del mito delle minoranze russe – la realtà è che la Russia attuale non ha comunque la solidità di un «blocco» ideologico e di potere contrapposto a quello occidentale. Senza Kiev, l’unione euro-asiatica vagheggiata da Mosca resterà poca cosa rispetto all’Ue. Seconda ragione: alcuni decenni di globalizzazione economica impediscono ormai di pensare che lo spazio «grande Russo», erede della tradizione zarista prima che comunista, possa mai prosperare in assenza di rapporti con le economie occidentali.
Eliminiamo dagli scenari, quindi, una replica della guerra fredda nel XXI secolo. E poniamoci il problema in termini secchi: su che basi, dopo lo choc della Crimea, potrà essere ricostruito un ordine europeo? C’è un primo elemento a cui guardare: la crisi ucraina ha portato gli Stati Uniti a concentrarsi di nuovo sull’Europa. Barack Obama, lo ricorderete, aveva esordito con il famoso «pivot to Asia», che non ha poi prodotto grandi risultati. Oggi, si potrebbe parlare di «ri-pivot to Europe». Un ritorno americano in Europa, che potrà rafforzarsi se gli europei smetteranno di eludere il problema delle politiche di difesa – Obama lo ha ripetuto una ennesima volta – e se il negoziato transatlantico su commercio e investimenti, il TTIP, verrà condotto sapendo di cosa si tratta: una grande occasione politica per l’Occidente. Forse l’ultima per riuscire ancora a influenzare in modo determinante, attraverso un accordo che interessa quasi la metà del Pil mondiale, regole e principi di funzionamento dell’economia globale. La questione energetica, nel dopo Ucraina, è il secondo elemento da considerare con molta attenzione. Se c’era bisogno di una scusa per spingere gli Stati Uniti a fare cadere vecchie riserve sull’export di energia; e se ci volevano degli incentivi per convincere l’Europa a porsi finalmente il problema di una politica di sicurezza energetica degna di questo nome, scusa e incentivi oggi ci sono.
Vedremo se seguiranno anche i fatti, a partire dal G7 sull’energia che si terrà fra poche settimane in Italia. Infine, ma non in ultimo, l’Europa è per una volta riuscita a non dividersi troppo sulla risposta immediata alla crisi ucraina. Ma conterà – il ministro Mogherini è stata esplicita su questo punto in un recente «Dialogo di Aspen» – la visione di medio termine: che lo si voglia o no, storia, geografia, energia, economia, indicano che la Russia resterà un interlocutore strategico dell’Ue. Che rapporto intendiamo costruire con Mosca? E che aspettative abbiamo sul futuro della Russia? La gestione abbastanza catastrofica della partnership verso Est ha dimostrato che fino a quando i Paesi europei non troveranno una posizione comune su una questione così rilevante per la geopolitica continentale, i rischi prevarranno sul resto. E il capo del Cremlino continuerà a far passare la debolezza del proprio Paese quale forza di una Russia ritrovata – in realtà, di una Russia frustrata.
La mia conclusione, guardando a questi elementi, è forse paradossale: pur cercando di non forzare troppo il punto, e soprattutto senza dimenticare le sofferenze del popolo ucraino, resta il fatto che lo strappo di Putin sta aiutando l’Europa. L’ha aiutata, messa di fronte alla brutale annessione della Crimea, a liberarsi di aspettative irrazionali e a sollevare le menti dalla crisi dell’euro. Per guardare alla sfida esterna. Uno spazio euro-atlantico rafforzato dal TTIP; una politica energetica comune; un rapporto più coeso e maturo verso l’Est: se gli europei si muoveranno in questo senso, la risposta alla crisi ucraina potrebbe segnare il passaggio dal vecchio ordine europeo, ormai andato in frantumi, a un ordine adatto al XXI secolo.
La stampa 07.04.14