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"Domani la Consulta su quel che rimane della Legge 40", di Franco Stella

Mai una legge aveva avuto una vita così tribolata, affossata da ben ventinove sentenze che ne hanno ridimensionato la portata, smantellandola dalla fondamenta. La legge 40 sulla procreazione assistita, in dieci anni di vita, ha subito un contraccolpo sull’altro. Ma la mazzata finale potrebbe arrivare domani quando la Corte Costituzionale sarà chiamata a decidere sul divieto di fecondazione eterologa (l’utilizzo di gameti, maschili o femminili che non appartengano alla coppia) previsto dalla legge insieme a quello sulla ricerca sugli embrioni.
Fino a qui sono tre i pilastri della legge sulla fecondazione in vitro già abbattuti dai giudici: il divieto di produzione di più di tre embrioni, l’obbligo di impianto contemporaneo di tutti gli embrioni prodotti, su cui è intervenuta appunto la Consulta nel 2009, e il divieto di diagnosi preimpianto (ma per le coppie infertili, quelle che hanno accesso alla Pma, con intervento del Tar del Lazio sulle linee guida).
«Siamo ottimisti anche sulla sentenza di domani afferma Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’associazione Coscioni con la caduta del divieto di eterologa le coppie potranno tornare a utilizzare gameti donati liberamente come facevano prima della legge, e non ci sarà nessun commercio. Inoltre le massime tutele del nascituro sono già previste dalla legge».
Una delle conseguenze del divieto dell’eterologa è il turismo procreativo. Secondo un’indagine dell’Osservatorio sul Turismo Procreativo nel 2012 erano ancora 4mila le coppie che sono andate all’estero per trattamenti di fecondazione assistita, metà delle quali per l’eterologa. L’ultima relazione del Ministero della Salute sulla Legge nel 2011 ci dice che sono stati 11.933 i bambini nati da tecniche di fecondazione assistita, erano 12.506 l’anno precedente, in costante aumento dal 2005. Gli embrioni abbandonati, che secondo l’esperto vivono in un «limbo» perché la legge impedisce sia di distruggerli che di donarli alla scienza, sono un po’ meno di 19mila. Sono state molte le richieste alle istituzioni politiche di cambiare la legge, anche da parte di diverse società scientifiche, ma finora a modificare uno dei provvedimenti più contestati degli ultimi anni sono state solo le sentenze. «Io sono spaventata dalla politica afferma Gallo in questi anni il Parlamento ha dimostrato di essere inadatto ad affrontare il tema dei diritti della persone. Le leggi andrebbero fatte dai parlamenti e non dai tribunali, ma in questo caso i politici dovrebbero accettare con umiltà ciò che anche i cittadini hanno dimostrato di volere».
La decisione della Corte di domani non dovrebbe essere la sola in questo anno solare. L’Associazione Coscioni ha presentato, lo scorso gennaio, i casi di due famiglie portatrici di malattie genetiche ereditarie il cui ricorso al tribunale di Roma per avere la diagnosi sull’embrione prima dell’impianto ha generato una nuova richiesta di pronunciamento alla Corte Costituzionale. Le ordinanze riguardano due coppie, Valentina e Fabrizio e Maria Cristina e Armando, in entrambi i casi portatrici di malattie che si trasmettono per via materna. Nel caso di Maria Cristina la malattia è la distrofia di Becker, di cui era affetto anche il padre, che porta alla degenerazione di tutte le fibre muscolari. A quel punto la decisione di ricorrere alla fecondazione in vitro, con la diagnosi preimpianto che avrebbe potuto evidenziare quali embrioni erano portatori della malattia, possibilità però negata dalla struttura pubblica a cui si sono rivolti i genitori perché la legge la vieta, permettendola solo in caso di coppie sterili o in cui l’uomo abbia delle malattie infettive. Da qui il ricorso e la decisione del tribunale di Roma dello scorso gennaio di sollevare l’eccezione di costituzionalità.
Un caso analogo, anche se con una diversa malattia, è quello di Valentina e Fabrizio, che si sono visti rifiutare la diagnosi preimpianto e che hanno provato, come del resto l’altra coppia, ad avere un figlio per vie naturali. In questo caso la bambina è risultata affetta dalla patologia genetica rara per cui non c’è prognosi, e la coppia è stata costretta ad abortire, peraltro senza assistenza in un ospedale romano. La coppia ha poi presentato un ricorso al tribunale di Roma per la diagnosi, che ha ottenuto un’ordinanza gemella della prima, che la Corte potrebbe discutere prima dell’estate. In caso di esito positivo la decisione varrà per tutte le coppie che si trovano nelle stesse condizioni.

L’Unità 07.04.14