Libertà va cercando. Ma non la troverà, pare, in Italia. Dal terzo congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica che si è aperto ieri a Roma emerge infatti che il nostro Paese ha qualche problema su questo fronte. A farcelo notare ci ha pensato Andrea Boggio, professore associato di Legal studies alla Bryant University (Stati Uniti), che ha aperto il congresso intitolato «Colmare il divario tra scienza e politica», promosso dall’Associazione Luca Coscioni e dal Partito radicale, con la collaborazione dell’Università di Manchester e dalla European Society for Human Reproduction (ESHRE), con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, del Ministero della Salute e di Roma Capitale. Boggio ha presentato una novità: l’indice di libertà e autodeterminazione. Si tratta di uno strumento per misurare a livello mondiale il grado di libertà di ricercatori e pazienti. Alla realizzazione di questo progetto hanno lavorato alcuni studiosi già dal 2008 e ora, finalmente, è pronto. Tutto parte da una premessa: «Espandere il sapere scientifico mediante la ricerca, accrescere il benessere dei pazienti attraverso i trattamenti medici e garantire la somministrazione dei migliori trattamenti disponibili sono aspirazioni universali che accomunano ricercatori, professionisti del settore sanitario e pazienti di tutto il mondo». La trasformazione di queste aspirazioni in risultati concreti, tuttavia, è vincolata da leggi che non sono uguali dappertutto. «Gli ambienti regolatori variano di nazione in nazione: alcune nazioni favoriscono la libertà di ricercatori, professionisti del settore e pazienti; alcune la limitano». Allora, si sono detti i ricercatori, possiamo provare a delineare un quadro mondiale che metta a confronto la legislazione, e quindi il grado di libertà della ricerca, almeno su alcuni temi. Per ora sono state prese in esame quattro aree strategiche: ricerca con embrioni e cellule staminali, riproduzione assistita, aborto e contraccezione, scelte di fine vita. Per ognuna di queste aree, sono stati identificati aspetti chiave per misurare il grado di libertà di ricerca ed autodeterminazione garantita ai cittadini. Successivamente sono state create una serie di domande che permettessero la misurazione del grado di libertà ed infine sono stati raccolti dati in un gran numero di paesi, adottando una metodologia che si ispira al noto rapporto sulla libertà di stampa pubblicato ogni anno da Freedom House, organizzazione privata e indipendente con sede a Washington. Al momento Boggio e colleghi hanno messo a punto una mappatura completa per 42 paesi, parziale per più di 100: «Le sfumature più chiare rappresentato un maggior grado di libertà. I colori diventano progressivamente più scuri man mano che ci imbattiamo in un paese con maggiori proibizioni e restrizioni». Quello che emerge è un quadro estremamente eterogeneo. Salta agli occhi, però, la posizione del nostro Paese: l’Italia nella classifica complessiva (che tiene conto dell’indice nei quattro settori esaminati) è al trentacinquesimo posto su 42. Subito prima della Croazia e dell’Iran e poco sotto la Turchia e la Colombia. Se consideriamo che nella classifica per la libertà di stampa siamo ventiquattresimi su venticinque paesi dell’Europa occidentale, non c’è da stare allegri. Boggio sottolinea tre fatti. Il primo è l’estrema frammentazione delle regioni del mondo: «In Europa, per esempio, l’eutanasia attiva è legale in tre nazioni mentre in paesi come la Croazia e la Norvegia il grado di libertà attinenti alle scelte di fine vita è bassissimo. L’aborto è regolamentato in modo molto permissivo in Svizzera, Ungheria, Belgio, Olanda e Grecia, e praticamente vietato in Irlanda. La mappa risulta ancora più colorata se si considera la ricerca con embrioni e la riproduzione assistita». Il secondo punto è che le mappe che mettono in risalto il maggior grado di libertà a livello globale sono la mappa su aborto e contraccezione e quella sulla riproduzione assistita. Quella invece da cui risultano più restrizioni è quella sulle scelte di fine di vita. Questo perché i primi temi hanno una storia di attivismo lunga decenni. Il terzo punto è che anche le aree che sembrano più stabili e più orientate alla libertà individuale ed al diritto di autodeterminazione sono comunque oggetto di aspre battaglie politiche. «Il caso dell’aborto è paradigmatico – sottolinea Boggio con costanti operazioni di boicottaggio e sabotaggio del diritto di autodeterminazione della donna».
L’Unità 05.04.14