Proprio oggi i tecnici del Tesoro e di Palazzo Chigi sono al lavoro per stringere i bulloni, martellare le escrescenze, coprire le crepe: martedì prossimo il governo presenta il Documento di economia e finanza. E c’è ancora molto da fare. Perchè da ciò che è dato sapere dalle slide di Matteo Renzi, i conti faticano a tornare. In totale le misure che sono state promesse aprono un buco per 18 miliardi di euro, ma molte delle coperture si presentano incerte: le una tantum o le misure friabili pesano per più di 10 dei 18 miliardi da trovare. Quasi due terzi della manovra.
Da Palazzo Chigi al ministero dell’Economia, tutti hanno presenti i problemi. Che per ora non presentano sintomi, è vero. L’onda lunga dei capitali internazionali a caccia di rendimenti è arrivata anche in Italia, in uno degli ultimi party prima che la Federal Reserve fra un anno chiuda il bar del denaro facile. Ma nel frattempo il deficit e il debito minacciano di salire: mentre si lavora al Def, nel governo cresce la convinzione che, a un certo punto, andranno prese decisioni per garantire la rotta.
Renzi vuole risollevare il morale depresso degli italiani e mettere in cassaforte il consenso, ma capisce che operazioni del genere presentano un costo. In primo luogo, c’è quello degli impegni che avranno effetti permanenti sul bilancio. Gli sgravi ai redditi bassi per esempio costeranno 6,6 miliardi di euro quest’anno e dieci miliardi in ciascuno dei prossimi. Il taglio del 10% dell’Irap, la tassa regionale sulle imprese, costerà due miliardi. E la riduzione della bolletta energetica per le piccole imprese sottrarrà alle entrate 1,4 miliardi. Insomma, dalle slide di Renzi si evincono minori entrate in pianta stabile per 10 miliardi quest’anno e 13,4 dal 2015. Già così, senza contromisure, il deficit si avvicinerebbe al 4% del Pil.
Ci sono poi spese non ricorrenti: 3,5 miliardi per rimettere
a posto le sedi delle scuole – ormai un’urgenza – e 1,5 miliardi per la tutela del territorio da frane, smottamenti, alluvioni. Infine, se saranno liquidati gli arretrati dello Stato alle imprese, il deficit salirà di altri 3-5 miliardi a causa delle uscite legate a spese per investimenti.
Semplicemente sulla base di ciò che ha detto Renzi, una stima cauta mostra che servono 18 miliardi di coperture. Ma tre mesi dell’anno sono già trascorsi, ne restano solo 9 per farle funzionare e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a Repubblica ha osservato: «È mia convinzione che tagli fiscali permanenti debbano essere finanziati da coperture permanenti, cioè da tagli di spesa». Non è chiaro se si tratti di un’opinione o di un impegno; ma ancora meno chiaro è se – e quando – sia possibile trovare 10 miliardi di tagli permanenti alla spesa e 18 di coperture in tempi brevi. Dal governo su questo sono uscite indiscrezioni ma anche indicazioni che sollevano altre domande.
Certo per esempio è che gli sgravi all’Irap avranno come
controparte un aumento del prelievo sui guadagni da capitale investito. È una scelta che contiene un messaggio di programma perché si detassano le attività che creano lavoro e si tassano le rendite, il contrario di ciò che l’Italia ha fatto per decenni. Se però si guarda solo ai numeri, l’impianto del governo vacilla perché con tassi bassi come oggi è difficile che i redditi da capitale generino due miliardi di gettito solo alzando l’aliquota di uno 0,6%.
C’è poi il piatto forte delle coperture, la spending review del
commissario Carlo Cottarelli. Anche qui non sarà possibile fare molto nel 2014: forse fino a cinque o, secondo lo stesso Cottarelli, tre miliardi di risparmi. Mezzo miliardo arriverebbe tagliando i compensi ai grand commis pubblici e molto di ciò che resta da una sforbiciata sugli acquisti di forniture dello Stato. È un’area in cui c’è spazio per intervenire, anche se la vendita di beni e servizi alle amministrazioni è un’attività vitale per decine di migliaia di imprese: la crescita ne risentirà.
Le coperture solide per ora finiscono qua, a quota 5-7 miliardi su 18. Il resto ha caratteri diversi: il rientro dei capitali nascosti al Fisco in Svizzera resta arduo da misurare e dal 2015 non si ripeterà; il maggior gettito Iva prodotto dai pagamenti degli arretrati alle imprese è stimato in 5 miliardi, ma non è una risorsa in più: è un’entrata anticipata a questo dai prossimi anni, quando si aprirà un buco corrispondente; e il risparmio da minori interessi sul debito sarà valutabile solo tra un anno: nessuno fonda una manovra su una voce del genere, anche perché l’anno prossimo probabilmente i rendimenti dei titoli di Stato torneranno a salire con l’aumento previsto dei tassi internazionali. Insomma l’operazione per riportare ottimismo in Italia costa, ma coperture da 18 miliardi si trovano solo compiendo lo sforzo eroico di crederci. Beato quel bilancio pubblico che non ne ha bisogno.
La Repubblica 03.04.14