È un passaggio cruciale e molto difficile. Renzi, a tutti i costi, deve rispettare il suo programma di riforme, anche perché gli annunci fatti con uno spiegamento di propaganda mediatica tambureggiante sono stati tali da suscitare nell’opinione pubblica attese quasi miracolistiche. Incoraggiato, da ultimo, persino dal presidente della più importante potenza mondiale, Barack Obama, confortato da un atteggiamento prudente, ma non ostile da parte dei colleghi europei, aiutato dal favorevole andamento del famoso «spread», termometro della fiducia dei mercati internazionali nei confronti dell’Italia, il premier sa di giocarsi, nei prossimi due mesi, la partita decisiva. A fine maggio, le elezioni europee, infatti, diranno se l’onda del consenso popolare, sul quale sta danzando con l’audacia di un surfista oceanico, lo consegnerà alla presidenza del semestre italiano della Unione con gli onori del successo oppure lo travolgerà nella delusione delle promesse mancate. Ed è proprio la consapevolezza del momento che costringe Renzi ad accelerare i tempi con un ritmo febbrile, a rendere più rigidi i margini di compromesso sulle sue proposte, a lanciare ultimatum che evocano scenari di caos dietro l’ipotesi di una sua sconfitta.
Dall’altra parte, partiti alleati e avversari, compreso il suo, Parlamento, sindacati e Confindustria si rendono conto, con altrettanta evidenza, che, negli stessi due mesi, si deciderà la funzione che riusciranno a esercitare in futuro, in bilico tra un’alternativa drammatica. La prima è quella di consegnarsi a una sostanziale irrilevanza politica e sociale, tra la crescente sfiducia, nei loro confronti, degli italiani e la costrizione a subire sempre l’iniziativa incalzante del premier, senza possibilità di intervenire sulle sue riforme con risultati apprezzabili. La seconda è legata al recupero, quasi in extremis, di un ruolo di rappresentanza ascoltata e di mediazione indispensabile.
Questo duro confronto, il cui risultato determinerà la sorte del Paese nei prossimi anni, si è aperto essenzialmente su due fronti, quello delle modifiche istituzionali e quello dei provvedimenti economici. Legge elettorale e mutamento dei compiti del Senato sono i temi sui quali Renzi ha deciso di combattere la sua battaglia campale con partiti e Parlamento, riforma del mercato del lavoro e crescita dei consumi sono gli strumenti con i quali pensa di agganciare l’Italia alla, sia pure modesta, ripresa europea.
Sia sul primo fronte, sia sul secondo, la fretta di Renzi e la rigidità delle sue proposte, entrambe obbligate visto il timore che l’allungamento dei tempi di discussione e l’annacquamento degli effetti concreti delle sue iniziative tradiscano gli impegni che ha preso con i cittadini, possono rischiare di compromettere non tanto la sorte del premier, quanto quella del Paese, che di riforme, e radicali, ha urgente bisogno. E’ comprensibile, però, che i partiti, a cominciare dal Pd, non si possano rassegnare a un ruolo di semplici ratificatori delle decisioni governative e che il Parlamento, nel suo complesso, si rifiuti di farsi espropriare del primario diritto costituzionale di discutere e varare leggi senza diktat minacciosi. Come è comprensibile che le rappresentanze delle forze sociali non accettino di essere umiliate dal rifiuto pregiudiziale di qualsiasi loro contributo a provvedimenti che toccano gli interessi dei loro associati.
Sarebbe utile, perciò, che il superamento di questo passaggio, comunque indispensabile per il nostro futuro, possa avvenire anche con un patto tra Renzi e i suoi interlocutori, in Parlamento e nel Paese. Il premier si dovrebbe dichiarare disponibile a modifiche che migliorino l’efficacia delle sue riforme, senza vanificarne, naturalmente, gli effetti di sostanziali cambiamenti nella vita politica italiana. Ma le Camere dovrebbero impegnarsi a rispettare i tempi ravvicinati delle decisioni, imposti non dal presidente del Consiglio, ma dalle attese dei cittadini italiani. Una riunione dei capogruppo parlamentari potrebbe stabilire un calendario di lavori che consenta, sia un sufficiente dibattito tra i partiti sui provvedimenti avanzati dal governo, sia il varo delle leggi senza dilazioni strumentali. I presidenti Grasso e Boldrini dovrebbero garantire l’applicazione puntuale di tale patto. La stessa flessibilità si potrebbe chiedere a Renzi in campo economico, una flessibilità che consenta una consultazione, magari evitando i lunghi rituali di una volta, con sindacati e Confindustria, ma senza concedere diritti di veto o possibilità di ritardi nelle decisioni politiche a rappresentanze sociali che, tra l’altro, a norma della Costituzione, non possono e non devono poter esercitare.
È troppo importante che l’Italia riesca a dimostrare all’Europa e al mondo di riuscire finalmente a realizzare quelle riforme che, da decenni promette e che da decenni tradisce, perché il suo futuro dipenda dai fuochi di artificio di un giovane e ambizioso primo ministro e dalle resistenze autoconservative dei suoi avversari.
La Stampa 01.04.14