Il disegno di Legge costituzionale che varerà il Consiglio dei Ministri non sarà la fotocopia del documento presentato dal premier durante la conferenza stampa del 12 marzo scorso. Il governo ha trattato, e domani la sua proposta si discosterà da quella che disegnava un Senato bollato come «dopolavoristico» a Palazzo Madama. La maggioranza si attende un testo non blindato e punta a strappare ulteriori miglioramenti, senza rompere tuttavia il patto per approvare prima delle europee la «riforma storica che cancella il bicameralismo». Chi sperava che il governo si limitasse a dire la sua, rimettendosi al Parlamento, rimarrà contrariato. Ma al di là della «propaganda e degli annunci muscolari» anche questa volta – in realtà – il presidente del Consiglio deve prendere atto della necessità di trattare e mediare. Il testo che arriverà da Palazzo Chigi non risponderà ai molteplici auspici dei parlamentari, ma rivaluterà il Senato rispetto alla bozza iniziale. Sarà diverso, quindi, da quello che lo stesso Renzi auspicava. Si capirà domani in quale misura e quale potrà essere, di conseguenza, l’iniziativa «per migliorarlo ulteriormente» che continuerà a Palazzo Madama, fermo restando l’impegno del Pd e della maggioranza a varare la riforma entro il 25 maggio. Oltre la disputa sui compiti e sulle prerogative da assegnare al “nuovo Senato” si avverte una spinta trasversale all’elezione diretta dei rappresentanti delle Regioni. Anche il presidente Grasso se ne fa carico.
Renzi tuttavia rimane contrario. Al di là delle tensioni che
emergeranno, e che non vanno sottovalutate, il dato politico è che la trattativa con il governo c’è stata e continuerà ancora. Un doppio livello quello che contraddistingue l’iniziativa di Renzi. Quello della discussione pubblica chiusa magari a colpi di voti di maggioranza – come è accaduto durante la direzione Pd l’altro ieri – e quello più sotterraneo del prendere atto che non basta la forza dei numeri. Un decisionismo che fa i conti con le esigenze di un governo di coalizione e di una variegata maggioranza. E degli stessi gruppi parlamentari del Pd, della forza politica cioè che rappresenta la spina dorsale della coalizione. Venerdi scorso, mentre blindava in direzione il decreto Poletti, Renzi ricordava che il patto con Berlusconi sulla legge elettorale – considerato in un primo tempo immodificabile – era stato migliorato alla Camera. Quell’intesa reggerà dopo la decisione del Tribunale di sorveglianza di Milano sul leader di Forza Italia? Reggerà dopo i risultati delle Europee, se questi dovessero rispecchiare i sondaggi che segnano la progressiva flessione degli azzurri? Il caos di queste ore evidenzia un partito azzurro pervaso da faide e divisioni. E lo stesso Verdini, accreditato come ambasciatore di Berlusconi presso il premier, è uno dei bersagli delle faide in atto in Forza Italia. E questo mentre Berlusconi oscilla tra la disperata necessità di ritrovare un’interlocuzione con Renzi che lo rimetta al centro della scena e la spinta inversa a recuperare un’impronta d’opposizione che riapra spazi elettorali a Forza Italia. Come si rifletterà questo sul cammino delle riforme è tutto da capire. Ieri, mentre i giornali parlavano di nuovi contatti tra Renzi e Verdini, il capogruppo Fi al Senato, Romani, attaccava il premier per la precedenza data dal Senato alla riforma costituzionale su quella elettorale. Sul cammino dell’Italicum pochi sono disposti a scommettere ancora, in realtà. Gli stessi azzurri temono di pagare alle politiche il ruolo di terza forza – dopo Partito democratico e grillini – al quale dovrebbero condannarli le Europee.
E lo stesso Renzi, pur continuando a battere sulla necessità di varare presto la riforma elettorale, dovrà prendere atto che non ci saranno i tempi per varare l’Italicum prima del voto per Strasburgo. Nella maggioranza e nel Pd, tra l’altro, molti prevedono il «default» del testo così com’è uscito da Montecitorio e prevedono una radicale modifica e un nuovo meccanismo «con il doppio turno sul modello dei sindaci». Al di là delle «esibizioni decisioniste», si capirà presto dove condurrà il realismo politico della mediazione e della trattativa.
L’Unità 30.03.14