Un piccolo passo per la politica ma un grande passo per i lavoratori. Basta dimissioni in bianco. L’Aula della Camera ha approvato la proposta di legge che pone fine alla pratica sulla base della quale al lavoratore, e più spesso alla donna lavoratrice, si chiede di firmare una lettera di dimissioni al momento dell’assunzione. Una lettera che può essere successivamente utilizzata dal datore di lavoro: il più delle volte in caso di gravidanza, ma anche per una malattia prolungata o per la partecipazione ad uno sciopero. Il testo, approvato a Montecitorio con 300 sì, 101 no e 21 astenuti, passa ora al Senato. Tuttavia il consenso a quella che Pd e Sel salutano come una norma di civiltà non è stato unanime: mentre la Lega si è astenuta, Ncd, M5S e SC hanno votato contro.
In base al testo approvato, la lettera di dimissioni volontarie deve essere sottoscritta, pena la sua nullità, dal lavoratore su appositi moduli resi disponibili gratuitamente dalle direzioni territoriali del lavoro, dagli uffici comunali e dai centri per l’impiego. La nuova normativa si riferisce a qualsiasi contratto: dai rapporti di lavoro subordinato a quelli di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, ai contratti di collaborazione di natura occasionale, alle associazioni in partecipazione, ed al contratto di lavoro instaurato dalle cooperative con i propri soci. La nuova disciplina assicura una semplificazione degli oneri amministrativi connessi alla risoluzione del contratto per dimissioni volontarie,
salvaguardando, tuttavia, l’esigenza di garantire la certezza dell’identità del lavoratore richiedente e il rispetto del termine di validità del modulo di dimissioni.
Qualora la lavoratrice o il lavoratore si assentino dal lavoro, senza fornire comunicazioni, per oltre sette giorni, il rapporto si intende risolto per dimissioni volontarie anche senza sottoscrizione dei moduli previsti dalla proposta di legge.
Entusiasti Pd e Sel, che hanno applaudito dopo il voto finale. “Si tratta di una norma di civiltà a tutela del lavoro e dei lavoratori, a prescindere dal loro sesso”, ha dettoChiara Gribaudo mentre Marina Nicchi di Sel ha rilevato che la legge “risolve non solo un problema culturale ma anche di diritti e doveri”. Anche la presidente della Camera Laura Boldrini ha espresso soddisfazione, ponendo l’accento sulla tutela dei diritti delle donne lavoratrici: “E’ stata dimostrata attenzione alla condizione delle lavoratrici e, al di là di alcune specifiche questioni sulle quali le forze politiche si sono divise, si è discusso di come porre fine ad una pesantissima violazione dei diritti delle donne. E’ una questione di civiltà”.
Contro il testo si sono espressi Ncd e M5S, attaccati da Renata Polverini di Fi, che ha contestato a quei partito “una contrarietà a una norma che abbiamo contribuito a migliorare”. “E’ solo campagna elettorale”, tuona la Cinque Stelle Gessica Rostellato, mentre Sergio Pizzolante di Ncd osserva: “E’ un provvedimento figlio di una cultura formalistica che, legiferando sulle patologie, indebolisce e debilita il nostro tessuto imprenditoriale con norme, vincoli, procedure burocratiche. Fa impressione come Forza Italia, tra la Cgil e le imprese, scelga la Cgil”. Ma critica è anche Scelta Civica, con Irene Tinagli: “Si colpiscono in cento per educarne uno, facendo danni a imprenditori che mai si avvarrebbero di questo escamotage”, sostiene.
La Repubblica 26.03.14