È stata una settimana di passione per l’istruzione italiana. Prima l’insoddisfazione dei diplomati (il 41% dichiara di aver sbagliato a scegliere la scuola; dopo un anno gli stessi si dichiarano pentiti della scelta nel 44% dei casi, spiega il Rapporto AlmaDiploma). Poi i ritardi e il disorientamento dei laureati, che chiamano in causa orientamento e servizi di accompagnamento. Questa a volta ad affermarlo è il primo Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca, realizzato dall’Anvur, l’ente di valutazione del sistema universitario, che ci spiega la drammatica dispersione tra immatricolati e laureati italiani: quasi uno su due non ottiene la laurea. Troppi dottori? Il Rapporto segnala che negli ultimi vent’anni c’è stato un aumento di laureati. “Tra il 1993 e il 2012, infatti – spiega Roberto Torrini, direttore generale Anvur e coordinatore del Rapporto – la quota dei laureati sul totale della popolazione in età da lavoro è salita dal 5,5 al 12,7%; tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni si è passati dal 7,1 al 22,3%”. A confronto, la Germania è al 29%, il Regno Unito al 45%, la media europea è al 35%. Come è successo in tutti i paesi anche l’Italia ha superato la concezione elitaria dell’istruzione universitaria per imboccare la strada dell’istruzione di massa. Questo fenomeno fisiologico, specie dopo la riforma del 2000, ha suscitato polemiche e pregiudizi, a cui è seguita una convinzione diffusa quanto scorretta, quella cioè che “nel nostro paese vi sia un eccesso di laureati”. In realtà, i confronti internazionali rivelano che l’Italia è uno dei paesi con la più bassa quota di laureati in assoluto, tra gli adulti e tra i più giovani. C’è stato uno scivolamento progressivo: rispetto alla parallela crescita dell’istruzione universitaria nei diversi paesi, non si è ridotto lo scarto rispetto ai valori medi europei. “Il ritardo italiano nei tassi di laurea sembra dipendere in gran parte dal basso tasso d’immatricolazione tra i giovani adulti (forse già impegnati sul lavoro) e da bassi tassi di successo degli iscritti nel confronto internazionale. Parte delle differenze con gli altri Paesi potrebbero dipendere dalla mancanza in Italia di un’offerta di corsi terziari professionalizzanti, che nella media Ue ha un peso di circa il 25%sul totale dei laureati. La quota dei giovani tra i 20 e i 24 anni con almeno un diploma di scuola secondaria superiore è in Italia ormai allineata alla media europea e non può quindi spiegare per i più giovani il ritardo nei tassi di conseguimento della laurea. Risulta invece bassa la quota complessiva di diplomati che intraprendono una carriera di studi universitaria in un qualche momento della loro vita. L’università italiana non riesce ad attrarre studenti maturi: gli immatricolati con almeno 25 anni di età sono infatti appena l’8% del totale, contro un valore medio del 17%. In Italia poi il tasso di successo negli studi universitari è ancora molto basso: su 100 immatricolati solo 55 conseguono il titolo a fronte di una media europea di quasi il 70%”. Dopo il primo anno circa il 15% abbandona gli studi nella triennale e altrettanti decidono di cambiare corso. Gravi ritardi Il tempo medio di conseguimento della laurea triennale è di oltre 5 anni. Per una laurea a ciclo unico di sei anni ce nevogliono7,4. Il fatto che quasi un terzo degli immatricolati abbandoni o cambi corso di studio dopo il primo anno indica la difficoltà del passaggio dalle scuole superiori all’università: «Ciò è dovuto – conclude il Rapporto – all’inefficacia dell’orientamento formativo, a deficit di preparazione degli studenti, alla debolezza del tutoraggio per gli immatricolati». I dati sulla dispersione, sulla regolarità degli studi e sul tempo medio per laurearsi rivelano infine una forte dispersione del sistema con costi sicuramente elevati a livello generale (tra tutti il ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro).Nonostante i luoghi comuni sul mercato del lavoro la laurea sembra offrire migliori opportunità rispetto al diploma. La crisi ha colpito i più giovani,magli effetti sono stati peggiori per quelli che hanno un livello d’istruzione più basso.
La Stampa 24.03.14