L’avanzata del Front National di Marine Le Pen alle elezioni amministrative francesi non è certo una sorpresa, pur se essa pare aver assunto dimensioni peggiori delle più previsioni più nere. Così come appariva largamente pre- vedibile la stangata elettorale che ha colpito i socialisti del presidente Hollande, i quali hanno affrontato questa tornata elettorale con la zavorra di un malcontento per l’operato del governo che non era mai stato tanto alto.
Il segnale che arriva dalla Francia è inquietante. Lo è tanto più perché arriva a due mesi da elezioni europee sul- le quali grava già la minaccia di una affermazione di partiti e movimenti populisti pronti a portare nell’unica istituzione europea diretta espressione della volontà democratica dei cittadini la massiccia testimonianza del rifiuto dell’Europa che si sta facendo strada in larghi settori dell’opinione pubblica in tutti i Paesi dell’Unione.
Non è il momento delle recriminazioni, ma la sinistra e più in generale tutte le forze democratiche e europei- ste non possono non riflettere, con urgenza, sui motivi che stanno al fondo di questa deriva. È evidente che molti di quei motivi affondano nelle scelte che le istituzioni di Bruxelles (i «burocrati che nessuno ha eletto» nella vulgata purtroppo non del tutto infondata della destra) e tutti i governi dell’Unione, anche quelli che erano espressione del centrosinistra, hanno compiuto di fronte alla crisi dell’euro e dei debiti sovrani.
L’austerity ha provocato danni enormi non perché fosse sbagliata in sé, perché è vero che il disordine delle finanze pubbliche e le galoppate dei debiti andavano e vanno frenate, ma perché la si è imposta a colpi di trojka, sulle baionette delle insensibilità sociali e di una fede insensata nelle virtù autoregolative dei mercati. Gli ayatollah del neoliberismo – come Jacques Delors definiva la signora Thatcher e i suoi epigoni negli anni 80 – hanno stravinto. E in un certo senso continuano a vincere perché il populismo sfrenato dei vari Le Pen, xenofobi alla Geert Wilders, leghisti e beppigrilli in fondo sono l’altra faccia della loro medaglia. I primi hanno mostrato che si può uccidere la politica pensando agli interessi delle banche invece che a quelli delle persone, i secondi ora infieriscono sul cadavere.
È tardi per rimediare ai danni? Ci sono molti segnali di una presa di coscienza del fatto che il pensiero unico
economico praticato almeno dal 2008 in poi ha prodotto solo disastri, o che almeno non è più praticabile con le durezze che abbiamo sperimentato. Certamente qualcosa è cambiato nei partiti della famiglia socialista. Lo si è visto al recente congresso del Pse a Roma, nelle proposte avanzate dalla Spd in Germania, nelle riflessioni in atto tra i laburisti britannici e anche dai propositi del nuovo governo di Roma (pur- troppo in Francia non lo si è visto affatto).
Una certa consapevolezza forse va facendosi strada anche tra le forze moderate del centro. Ma dobbiamo considerare che c’è anche il rischio che proprio le forze conservatrici reagiscano alla possente concorrenza che si va formando alla loro destra con l’illusione di poter blandire l’antieuropeismo di pancia così tanto diffuso.
Mai come adesso è necessaria una battaglia di idee, una crociata di chiarezza su che cosa è veramente l’Euro- pa. Perché deve essere diversa, certo, ma deve essere più integrata, con istituzioni più forti e una grande attenzione alla propria legittimazione democratica.
L’Unità 24.03.14