Studenti italiani bamboccioni o percorsi universitari ad ostacoli? Quello descritto dall’Anvur col Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2013, più che un disastro annunciato, appare un disastro conclamato. I dati parlano di carriere universitarie infinite, quando non si interrompono a metà. E di studenti “inattivi”, che si iscrivono e pagano consistenti tasse ma che poi non riescono a superare neppure una materia – o a conseguire crediti, come si dice più correttamente adesso – per un anno intero e forse più. Parcheggiati in attesa di fare altro o alle prese con un difficile adattamento al nuovo percorso di studi?
Sta di fatto che, una volta iscritti all’università, in tutti gli altri Paesi europei gli studenti riescono a laurearsi prima dei nostri ragazzi. In Italia, la situazione descritta dai numeri appare piuttosto grave: il cosiddetto “tasso di completamento dell’istruzione universitaria” è pari al 45,3 per cento, contro il 79,4 del Regno Unito, il 72 per cento della Finlandia e il 64 per cento della Francia. Sarebbe anche questa la causa del penultimo posto in classifica dell’Italia per giovani 25/34enni in possesso di una laurea. In Europa soltanto la Turchia fa peggio di noi. Ma spulciando i dati messi a disposizione dall’Anvur si capisce perché in Italia i laureati sono ancora troppo pochi.
Analizzando gli immatricolati nei corsi triennali dell’anno 2003/2004, a nove anni di distanza – nel 2012/2013 – cioè dopo un lasso di tempo pari al triplo della durata legale dei corsi, soltanto il 55 su cento risultano laureati. Ben 38 hanno nel frattempo lasciato gli studi e 7 su cento sono ancora iscritti nella speranza di ottenere l’agognato diploma di laurea. In altre parole, su poco più di 300mila immatricolati ai corsi di primo livello, ben 115mila hanno abbandonato l’università. Il fatto è che, mediamente, i ragazzi italiani impiegano quasi 5 anni a conseguire la laurea di primo livello, quella triennale. Stando a sentire coloro che si cimentano ogni giorno con lezioni ed esami, la riforma del 3+2 varata nel 1999 ha ridotto la durata dei precedenti percorsi quinquennali – con 25/30 materie – in percorsi triennali.
Ma con un numero molto simile di materie, che spesso conservano le stesse difficoltà e programmi soltanto alleggeriti di poco rispetto a prima della riforma. Nel 2011 soltanto un quarto dei laureati – il 25,5 per cento del totale – ha concluso in regola il percorso degli studi, contro il 6,5 per cento dei laureati prima della riforma – nel 1999 – ma allora i percorsi erano quadriennali o quinquennali. Il 30 per cento circa dei laureati del 2011 ha raggiunto il traguardo con un solo anno in più dei tre fissati, ma altri 3 studenti su dieci non riescono a laurearsi prima di 6 o più anni di frequenza. Poi ci sono gli “inattivi”, coloro che in 12 mesi non sono riusciti ad acquisire crediti, e quelli che rinunciano.
I primi, nel 2010/2011, sfioravano il 13 per cento di tutti gli immatricolati l’anno prima. Un dato in calo rispetto al periodo ante-riforma. Mentre gli studenti che, iscritti al primo anno, non confermano l’iscrizione al secondo sono quasi al 16 per cento. Il maggior numero di abbandoni tra il primo e il secondo anno si registra nella facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, col 33,6 per cento. Seguono Farmacia e Agraria che superano il 27 per cento di forfait ad un anno dall’immatricolazione.
La Repubblica 21.03.14