L’impegno paga più del talento, almeno nello studio della matematica. E i quindicenni italiani risultano tra i più demotivati del mondo. Piazzandosi in fondo alla classifica stilata dall’Ocse, precedendo su 65 paesi soltanto Argentina, Colombia, Costa Rica e Albania. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha di recente rielaborato i dati dell’indagine Pisa 2012, il Programma di valutazione delle competenze degli studenti in Lettura, Matematica e Scienze, approfondendo gli aspetti dello studio della matematica. “Successo scolastico: gli alunni sono motivati?”, il titolo del focus che mette in relazione i risultati nel test con il livello di impegno dichiarato dagli stessi studenti nell’affrontare lo studio di questa materia. Secondo gli esperti dell’istituto di Parigi, sono sacrificio e perseveranza a portarli in alto nelle classifiche internazionali — dove Corea, Norvegia e Finlandia svettano su tutti — più del corredo genetico e della predisposizione.
Ma perché i nostri quindicenni sono così demotivati quando a scuola affrontano teoremi e problemi? «Più che demotivati, gli studenti mi sembrano scoraggiati», dice Angela Schirru, docente di Matematica in un liceo scientifico di Palermo. «Purtroppo la nostra società pensa che occorra essere portati in questa materia per riuscire.
È un luogo comune difficile da sfatare di cui spesso si convincono anche i ragazzi. Una tesi che contesto: chi si impegna ottiene sempre risultati ». Per Gianfranco Staccioli, pedagogista e docente all’università di Firenze, «i ragazzi non vedono l’applicabilità nella vita quotidiana della matematica, che considerano una materia astratta, e di conseguenza perdono l’interesse». Se gli studenti si scoraggiano, per Staccioli, è anche colpa dei professori.
«Gli insegnanti dovrebbero fare amare la matematica ma occorre trovare il metodo più efficace. Rispetto a tantissimi anni fa — conclude il docente universitario — si insegna sempre allo stesso modo. Occorrerebbe invece costruire progetti educativi incentrati sull’interesse, ma nel nostro paese questo è un traguardo ancora piuttosto remoto». «I ragazzi italiani — commenta Damiano Previtali, preside del liceo classico Sarpi di Bergamo — abbandonano
quasi subito un problema difficile, ma è un atteggiamento tipico della scuola italiana, ancora troppo legata ad un modello di insegnamento di tipo trasmissivo piuttosto che ad una didattica per competenze».
Soltanto il 41 per cento degli studenti è convinto che un maggiore impegno può portarli a buoni risultati in matematica, contro il 65 per cento dei quindicenni di Singapore e il 48 per cento della media Ocse. Stesso discorso sull’utilità di questa materia. Soltanto 19 ragazzi italiani su cento pensano che possa dare una marcia in più sul lavoro contro il 41 per cento dei compagni inglesi. «I risultati dello studio rivelano — dice Francesca Borgonovi, analista dell’Ocse — che una mentalità che porta gli studenti a dividere il mondo in chi è portato per la matematica e chi non lo è, è associata a risultati peggiori. Molti studi hanno evidenziato che il cervello è plastico e muta in funzione dell’apprendimento: più si impara più diventa facile imparare». E la scuola può incidere tantissimo. Le elevate percentuali di studenti dei paesi asiatici motivati a studiare questa materia che ottengono punteggi elevati «lascia pensare — si legge nel report — che l’educazione e il suo contesto sociale possono giocare un ruolo determinante nella trasmissione dei valori che incoraggiano al successo».
La Repubblica 20.03.14