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"È finito il calvario di Sakineh la donna accusata di adulterio che gli ayatollah volevano lapidare", di Rosalba Castelletti

Il calvario di Sakineh Mohammad Ashtiani è finito. Dopo aver trascorso otto anni nel carcere di Tabriz in attesa della morte, ora per impiccagione ora per lapidazione, l’iraniana quarantasettenne madre di due figli è libera. Lo annunciano gli attivisti locali. Rimasta vedova nel 2005, Sakineh era stata condannata all’impiccagione per complicità nell’omicidio del marito (accusa che ha sempre respinto) e alla lapidazione per adulterio. La prima condanna era stata commutata in appello nel 2007 in dieci anni di carcere, ma lo stesso anno la Corte suprema iraniana aveva confermato la lapidazione. L’esecuzione fissata nel luglio 2010 era stata sospesa grazie alla mobilitazione internazionale sollevata dall’avvocato Mohammad Mostafei, poi costretto a fuggire dall’Iran. Seguirono petizioni e veglie in tutto il mondo, un voto di condanna del Parlamento europeo e l’offerta di asilo del Brasile, mentre da Teheran e dagli attivisti arrivava una ridda di notizie contrastanti. Un giornale iraniano a un certo punto definì Carla Bruni-Sarkozy, allora
première dame, «prostituta», solo perché aveva unito la sua voce alla campagna internazionale. Poi sul caso scese il silenzio.
«Noi però non abbiamo mai smesso di lottare. Qualche mese fa avevamo ottenuto il rilascio dell’avvocato, Javid Hutan Kian, dopo due anni di carcere e di torture. Siamo tornati a premere con forza per il rilascio di Sakineh quando il 23 febbraio ha tentato il suicidio in carcere ingoiando degli aghi. Sono riusciti a salvarla solo dopo due interventi allo stomaco», racconta a Repubblica Ahmad Fatemi, direttore di “Mission Free Iran”. «Martedì la notizia tanto attesa: il rilascio. Ora Sakineh è libera, anche se è ancora molto debole. Le sue condizioni di salute fisica e psicologica sono purtroppo pessime». Ad annunciare il rilascio è stato Mohammad Javad Larijani, il segretario generale del Consiglio superiore iraniano per i diritti umani. Attaccando le «interferenze esterne» dell’Occidente, Larijani ha tenuto a sottolineare che la grazia è stata concessa in ragione della «buona condotta», e non di un riesame del dossier, a dimostrazione della «clemenza della religione musulmana verso le donne».
«Il caso di questa persona condannata alla pena capitale nel 2010 è stato utilizzato per quattro mesi per attaccare il regime islamico. C’è stato tanto rumore da parte della comunità internazionale su questa sentenza », ha detto Larijani in conferenza stampa. «Non ci siamo preoccupati delle reazioni internazionali, ma abbiamo comunque cercato il perdono della famiglia del morto. Per questo avevamo commutato la pena della donna in 10 anni di carcere, ma data la sua buona condotta è stata graziata».
Per una Sakineh salvata, in Iran però ci sono decine di donne senza volto e senza nome su cui pende la stessa sorte. La lapidazione, in arabo rajm, non è menzionata nel Corano, ma in un hadith, un detto attribuito a Maometto, dove il Profeta chiamato a fare da arbitro tra due clan ebraici stabilisce che un’adultera venga lapidata in base al Deuteronomio. Non dovrebbe perciò essere applicata ai musulmani, eppure l’Iran è uno dei pochi Paesi dove resta in vigore come pena capitale prevista per “l’adulterio extraconiugale”. Se però in Nigeria, Pakistan o Iraq che pur la prevedono non è mai stata comminata, in Iran ne sono
state praticate centinaia. Si tratta di una morte terribile: si avvolge la donna in un sudario bianco e la si interra fino alle ascelle, poi boia specializzati o gente qualunque le tirano addosso delle pietre che non devono essere né troppo piccole, né troppo grandi. La fine atroce che sarebbe dovuta toccare anche a Sakineh.

La Repubblica 20.03.14

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