"Ezio Raimondi. La prospettiva di un critico tra Caravaggio e Heidegger", di Francesco Erbani
Ezio Raimondi raccontava spesso che la sua carriera di filologo, di critico della letteratura, iniziò con la storia dell’arte. Giovane maestro elementare in attesa di partire per la guerra, seguiva a Bologna le lezioni di Roberto Longhi su Masaccio e Masolino. Longhi spiegava come Masaccio si fosse fatto da parte nella Cappella Brancaccio a Firenze e perché avesse lasciato il campo a Masolino. Dipendeva da un buco e da un chiodo. Erano il centro focale di un’immagine prospettica e mentre per Masaccio la prospettiva era una intuizione approssimativa – così diceva Longhi – per Masolino «assumeva il senso potente di una concezione spaziale del tutto nuova». Immense questioni: che però muovevano i loro passi da un buco e da un chiodo. Raimondi, che ieri è morto quattro giorni prima di compiere novant’anni, era uno studioso capace come pochi di intrecciare linguaggi diversi, di transitare con scioltezza, grazie a una intelligenza fluente, da Dante ad Heidegger, da Céline a Caravaggio. Parlava come scriveva, si diceva di lui. E studiava come veleggiasse fra una sponda e l’altra, …