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"Storie, trucchi e innovazioni Il lato oscuro della politica 2.0", di Cesare Buquicchio

Strumento di democrazia diretta, pagliacciata mediatica, grimaldello per varcare (virtualmente e non) i palazzi del potere, consolazione per anime solitarie, brillante veicolo di propaganda, acceleratore di populismi, simulacro della trasparenza a tutti i costi. Il rapporto tra politica e web non riesce ad essere incardinato in nessuna di queste definizioni.

Tutte vere ed approssimative insieme. Ma non c’è da sbatterci troppo la testa: l’arte del possibile e la panoplia comunicativa della Rete sono materie già di per sé troppo malleabili e la natura umana che esse riflettono, sa essere persino più contraddittoria.

È almeno dal 2008, dalla prima campagna elettorale di Barack Obama, che si è compreso quanto un uso sapiente della Rete potesse influenzare le campagne elettorali e il destino dei candidati. Ma, come ci fa notare Michele Di Salvo nel suo nuovo libro “Politica 2.0 – La politica e la comunicazione nell’era digitale” disponibile come e.book su Amazon.it, il web diventa vincente quando ti fa fare in modo nuovo (e più efficiente) le stesse cose che facevi prima. La rivoluzione web della prima campagna Obama passava dalle vendite di torte porta a porta e dalle gare territoriali di coinvolgimento di donatori di fondi, con “un posto a cena” col candidato presidente per i vincitori. Da quella campagna ad oggi il rapporto tra web e politica si è arricchito di molteplici aspetti e il volume di Di Salvo li analizza in modo sistematico mettendone in luce problematicità e buone pratiche. Un po’ manuale pronto all’uso di politici e organizzatori, un po’ riflessione generale sul rapporto tra digitale e comunicazione, scorrendo le pagine di “Politica 2.0”, oltre ad Obama, incontriamo il Tea Party, il Partito Pirata, il MeetUp e le fortune del Movimento 5 Stelle in Italia, Albadorata, la nuova costituzione islandese nata dal web, Hugo Chavez e Twitter, la rete nei contesti autoritari come Sud America, Russia, Siria, Turchia e Cina.

TUTTI I TRUCCHI DELLA “ZONA NERA”
Di Salvo, imprenditore ed esperto di comunicazione, blogger, editorialista e scrittore, svela trucchi e trucchetti nell’uso della rete in modo strategico, dai più innocenti e scontati fino ad arrivare alle pratiche della cosiddetta “zona nera” del web. «Nella zona “nera” possiamo fare rientrare tutte quelle tecniche decisamente illegali come violazioni di siti web, attacchi DDoS, vero e proprio hacking teso a danneggiare siti software e strutture altrui o per “spionaggio informatico”, invio di mail “a nome di…” fasulle, la diffusione di notizie false, di cui si conosce la falsità, l’uso di falsi profili a nome o di nome simile al proprio avversario, o anche l’accusa non dimostrata che una di queste azioni venga compiuta da un concorrente».
Siamo già ben lontani dalle torte porta a porta di Obama. Altrettanto interessante è l’analisi delle cosiddetta “zone grigie” della comunicazione web. Ccome il CrossBlogging quando ad esempio una notizia viene pubblicata su un blog anonimo o creato ad hoc per pubblicarla (e non direttamente riconducibile a quella parte politica), semmai in forma anonima, salvo poi “contribuire a rilanciare” quella notizia dicendo candidamente “questo blog ha detto che…”.

QUANTO È SPONTANEA LA RETE?
In misura speculare il ForcedReBlogging, ovvero un sistema quasi automatico per cui un post viene sistematicamente rilanciato da una rete di blog e siti apparentemente non collegati tra loro, alle volte usando semplicemente dei feed o rss, per accrescere la visibilità e la percezione di autorevolezza i una certa notizia o informazione. Parliamo di CyberShilling quando persone – normalmente freelance – vengono impiegate per “postare commenti favorevoli o propagandistici” in rete, generalmente su blog o siti di riferimento, spesso usando nick-name di fantasia, semmai associati a profili Twitter o Facebook. Questa tecnica nasce per le esigenze commerciali di alcune aziende per “parlare bene in rete” dei propri prodotti o per limitare l’effetto di commenti sgradevoli, e nondimeno è di efficace impiego anche nella comunicazione politica. C’è poi il Comment-Storming, ovvero un’attività più o meno coordinata massiva di commenti di più utenti, in rapida successione sotto un articolo, un video, un post. La forza di questo strumento risiede in almeno due caratteristiche: la prima, è quella di apparire come una forma di azione spontanea, di attivisti “numerosi” (anche quando basta vedere un minimo di storico e scopriamo che un gran rumore viene fatto da qualche decina di soggetti, e sempre più o meno gli stessi), e la seconda, che quando un determinato contenuto viene condiviso, “trascina” inevitabilmente con sé anche i commenti, e questo ci riporta alla funzione essenziale di avere una strategia di risposta. Infine, ci sono i Troll, profili che interagiscono con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi; i Fake, profili falsi, contraffatti, che nascondono identità o ne imitano altre (discorso diverso e altrettanto interessante quello relativo ai falsi follower dei politici su Twitter: da Renzi a Grillo | LEGGI TUTTO); e i Botnet, macchine e profili artificiali che compiono azioni programmate: si va dallo spam di messaggi privati via Twitter, all’invio di mail automatiche.

UN VERO AMICO O UN VERO FAN?
L’analisi di Di Salvo ci svela così quanto sia ormai profonda la distanza tra le ingenue premesse egualitarie, orizzontali, spontaneistiche e reticolari del web e una realtà fatta di controllo, strategie, investimenti economici e tecnologici. Fortunatamente la Rete è ancora giovane e abbastanza libera per non farci cedere al cinismo, ma le pagine di “Politica 2.0” contengono una riflessione che dal piano pubblico e politico si sposta a quello privato e ci chiama tutti ad una sincera auto-analisi.
«Qualsiasi sia il nostro ruolo e lavoro, e qualsiasi sia la posizione politica, la rete ha comunque in sé un forte elemento di distorsione ottica della realtà, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo – scrive Di Salvo –. Il rischio più diffuso è quello di perdere inconsciamente contatto con la realtà, con le persone vere: fare cioè una selezione delle dinamiche relazionali e ricavare una “rubrica per sottrazione”. Un esempio concreto. Se io avevo 100 persone con cui mi relazionavo nella vita vera, e poi attraverso i social ne raggiungo altre 10.000, e se queste sono tendenzialmente “a me affini”, da queste mi sento stimato, voluto bene, apprezzato, può nascere in me la tendenza selettiva a dire “ma chi me lo fa fare a frequentare ancora quelle 40 persone che invece mi trattano come una persona normale e mi criticano, e mettono in discussione le mie idee, quando “il resto del mondo” mi fa sentire al centro dell’attenzione?” Manicheo? Eccessivo? Troppo ‘patologico’ per essere un fenomeno diffuso? Allora provate a misurare quante persone “avete perso”, tralasciato, sostituito, in due o tre anni di vita social, e provate a verificare quante persone nuove sono entrate nella vostra vita reale dai social network. Forse scoprirete che quelle “nuove” sono “vostri fan” e quelle che ne sono uscite spesso sono quelle che maggiormente vi mettevano in discussione».

L’Unità 17.03.14