Nei primi venti giorni da ministro ha scelto di non intervenire nel dibattito, anche quando è stata tirata in ballo per la sua gravidanza, rinviando il momento di dire la sua ai primi atti esecutivi del suo ministero. Così, ieri, dopo aver firmato una circolare che dà attuazione a una norma del precedente governo per cui i lavoratori pubblici non possono cumulare lavoro e pensione oltre 311 mila euro (lo stipendio del primo presidente di Cassazione), il ministro della Pubblica amministrazione e la Semplificazione, Marianna Madia, ha deciso di raccontare cosa sta facendo. Partendo da un dato: che il suo primo atto sia questo, non è per niente casuale.
Perché ha voluto questo come suo primo atto da ministro?
«E’ una scelta politica, per segnalare una priorità: l’attenzione all’equità sociale e al tema di un’intera generazione esclusa. In un’epoca in cui oltre il 40% dei giovani non trova lavoro, un milione e mezzo di persone, tra pubblico e privato, cumula lavoro e pensione. Capisco chi ha pensioni basse, ma ritengo non sia etico quando il cumulo porta a soglie di reddito molto alte».
Il tetto di 311 mila euro è comunque molto alto…
«Io sarei d’accordo ad abbassarlo. E il premier ha già detto che non hanno senso, nel pubblico, redditi superiori a quello del presidente della Repubblica. Ora la circolare, che il precedente ministro non aveva ancora voluto fare, rende operativa una norma, questo non significa che non si possa intervenire successivamente».
La norma vale però solo per i dipendenti pubblici…
«Per i dipendenti privati non si può intervenire sul reddito da lavoro, ma da deputata avevo presentato una proposta per agire sulle pensioni: chi percepisce una pensione oltre 6 volte la minima e continua a lavorare, deve lasciare metà pensione allo Stato. È una proposta che non impegna il governo. Ma bisogna affrontare il tema».
Intanto, anche il suo ministero dovrà mettere mano alla spending review…
«Mi impegno a portare avanti il piano di Cottarelli, ma credo che la spending review debba andare di pari passo a una visione. Immagino una razionalizzazione che porti a rimuovere blocchi, a riportare dinamicità e nuove energie nella Pubblica amministrazione».
Come farà? Molti prima di lei si sono scontrati con forti resistenze…
«Mi sento forte del fatto che questa è una delle priorità della nostra squadra di governo».
Per aprile è annunciata la riforma della P.a: a che punto siete?
«Ci stiamo lavorando, a breve andrò in Parlamento a dare le linee programmatiche, che toccheranno vari aspetti. Di certo, la riforma conterrà il tema dell’accesso alla dirigenza, perché è importante ripartire dall’alto e non dal basso. E credo non abbia senso che i dirigenti restino inamovibili nello stesso posto fino a fine carriera».
A proposito di dirigenti, toccano a lei nomine importanti…
«Come il presidente dell’Istat e i 4 membri dell’Anticorruzione: dobbiamo ancora definire le modalità, ma la mia intenzione è di richiedere autocandidature per dare trasparenza a processi che finora non l’hanno avuta. Con l’invio del curriculum, ma soprattutto vorrei che chi si candida descrivesse il progetto che ha in mente per quella particolare posizione».
Sta partendo il Jobs Act di cui anche lei s’è occupata, già ci sono critiche dei sindacati…
«C’è un tema di rilancio dell’economia a cui si lega il desiderio di tutti di aumentare i contratti a tempo indeterminato. Nel frattempo, le scelte di Poletti vanno nella direzione giusta, anche valorizzando la maggior parte del lavoro della segreteria del Pd, e possono comunque essere migliorate nei tecnicismi in Parlamento».
Un’ultima cosa: ha letto che c’è chi ritiene inopportuna la nomina di un ministro incinta?
«So di essere in un momento di maggiore debolezza fisica, anch’io mi sono posta il problema. Ma fa parte dei rischi che si è assunto questo governo: se metti in gioco dei 30enni, può capitare che ci sia pure una donna incinta. Certo se avessimo continuato come sempre a nominare dei 60enni, il tema non si sarebbe posto…»
La Stampa 18.03.14