Se si esclude l’ultimo governo di Berlusconi, a cui Sarkozy neppure rivolgeva la parola, tutti i primi ministri italiani degli ultimi anni, Monti, Letta e adesso Renzi, sono arrivati a Parigi freschi di nomina per annunciare una nuova “entente” italo-francese in nome della crescita da contrapporre al rigore della cancelliera Merkel. Nel frattempo, l’unico Paese che sia riuscito a crescere davvero è stata la Germania. Il copione si è ripetuto, con qualche piccola variazione, anche ieri in occasione della visita di Matteo Renzi all’Eliseo.
Certo, la tentazione di cercare una sponda francese per arginare lo strapotere tedesco in Europa è non solo comprensibile ma anche perfettamente logica. E il presidente Hollande anche questa volta si è prestato volentieri al gioco ricordando che i programmi dei due governi «hanno molti punti in comune». In effetti da anni Francia e Italia annaspano per non affogare l’una sotto il peso del deficit e l’altra sotto il peso del debito. Ed è vero che, essendo deficit e debito calcolati in rapporto al Pil, solo aumentando la ricchezza prodotta attraverso una robusta crescita economica si può sperare di ridurre il peso relativo di queste zavorre.
Ma l’esperienza insegna che difficilmente, unendo due debolezze, si riesce ad esprimere una forza in grado di condizionare quella, sempre crescente, della Germania. Anche perché Parigi, immancabilmente, nei momenti cruciali resta comunque saldamente aggrappata all’asse franco-tedesco e al trattamento preferenziale che questo le garantisce. Un occhio di riguardo non solo nel consesso delle istituzioni e dei governi europei, che hanno generosamente offerto alla Francia due anni di proroga per rispettare il Patto di stabilità mentre all’Italia non concedono il minimo sconto, ma anche da parte dei mercati finanziari, che nel pieno della crisi hanno mantenuto al minimo lo spread tra i titoli di stato francesi e tedeschi mentre il nostro differenziale volava al punto di sfiorare la bancarotta. E questo nonostante i fondamentali francesi e italiani non fossero poi così distanti.
Matteo Renzi, però, è tutto fuorché ingenuo. E di certo non si fa illusioni sul fatto che l’intesa franco-italiana possa andare molto al di là dei legittimi slogan da campagna elettorale di due statisti affiliati al Pse a poche settimane dalla sfida delle Europee. Se veramente avessero voluto sfidare la Germania, Francia e Italia avrebbero potuto farlo sul fronte dell’Unione bancaria, una riforma davvero essenziale per la crescita economica di tutto il Continente ma sulla quale Berlino recalcitra da anni. E invece, nonostante le richieste di aiuto che arrivano a Roma e a Parigi da parte del Parlamento europeo, su quel fronte il preteso asse italo-francese è rimasto a fare da spettatore di fronte alle bizze e ai veti dei tedeschi.
La ragione di tanta prudenza è che la vera sfida per Matteo Renzi, e lui lo sa benissimo, sarà l’incontro di domani con Angela Merkel. È alla Cancelliera che il premier italiano deve far accettare la rischiosa scommessa che ha in mente sul futuro del nostro Paese. Il suo progetto è noto: utilizzare il margine di manovra di mezzo punto del Pil che ci separa dal fatidico tre per cento e rinunciare ad alzare l’avanzo primario per dare fiato all’economia e ottenere il consenso sociale che gli consenta di varare la lunga serie di riforme che l’Europa ci chiede da tempo.
La Commissione europea, ancor prima che il nuovo governo entrasse in funzione, ci ha già mostrato il semaforo rosso. La situazione del nostro debito è talmente grave, dice Bruxelles, che non possiamo utilizzare il margine di manovra e siamo obbligati a rafforzare il nostro avanzo primario. Nel dettarci queste condizioni, la Commissione non fa che applicare le regole che noi stessi abbiamo sottoscritto e gli impegni che furono assunti dal governo Berlusconi-Tremonti. Ma la forza dei suoi veti le viene non solo e non tanto dall’autorità conferitale dai Trattati, quanto dalla diffidenza dei mercati, che di fronte ad uno sbandamento dei conti pubblici italiani sanzionato da Bruxelles potrebbero decidere di rialzare lo spread riportandoci sull’orlo della bancarotta.
Per questo il sostegno di Angela Merkel e della Germania è cruciale per Renzi e per l’Italia. Se la Cancelliera dovesse decidere di appoggiare la scommessa del nostro governo, troveremmo a Bruxelles giudici meno severi, come è già accaduto alla Francia, alla Spagna e all’Olanda. Ma soprattutto una garanzia politica della Germania sulla manovra del-l’Italia tranquillizzerebbe i mercati finanziari, come è successo a favore della Francia nei momenti più difficili della crisi. In questo caso un sia pur ridotto scostamento dal percorso di risanamento dei nostri conti pubblici non verrebbe immediatamente sanzionato da un rialzo dello spread che annullerebbe qualsiasi beneficio per la nostra economia e qualsiasi speranza di rilanciare la crescita.
La Germania fino ad oggi ha sempre ostinatamente rifiutato di garantire con le proprie finanze i debiti altrui. Ma, al di là delle garanzie finanziarie, ci possono essere garanzie politiche che hanno sui mercati un effetto quasi altrettanto importante. Angela Merkel lo sa bene e fino ad ora ha usato questo strumento con raffinata maestria. Ora dovrà anche lei misurarsi con «l’effetto Renzi». E dal risultato di quel confronto dipenderà il nostro destino.
La Repubblica 16.03.14