Dalla dignità delle donne dipende anche quella degli uomini, hanno scritto l’8 marzo le promotrici di Snoq (Se non ora quando?) libere, chiedendo di cominciare un cammino insieme. Sì, donne e uomini insieme. Con le loro differenze, oltre le paure di questi decenni, gli opportunismi, i ritardi, le cadute per «ideare e realizzare un mondo condiviso». Così la più grande rivoluzione antropologica degli ultimi secoli – la libertà delle donne, appunto – potrà continuare a dare i suoi frutti di cambiamento e scongiurare un esito di omologazione. «Il femminismo – sottolinea il documento – ha determinato la fine del patriarcato. Il dominio incontrastato degli uomini, almeno nelle nostre società, non ha più alcuna autorità, ma la libertà conquistata ci dice che la separazione non è più utile a cambiare la realtà esistente. Dobbiamo pensare e sperimentare insieme idee e strumenti per realizzare la condivisione alla pari, nelle relazioni familiari, lavorative, politiche. Le paure e le insicurezze reciproche possono spingere a fare a meno dell’incontro con l’altro o con l’altra. A pensarci come individui onnipotenti pronti a comprare sul mercato quello che ci manca. Questo possibile esito del gigantesco cambiamento che le donne hanno prodotto ci inquieta».
Non è possibile rifiutare la sfida. Anche dalla dignità degli uomini dipende quella delle donne. È vero che tutto ciò suona stonato all’indomani del voto della Camera, che ha bocciato le norme sulla parità di genere. Il Senato dovrà riparare. Non stiamo parlando di «quote», ma di qualità della rappresentanza e della democrazia (e forse le parlamentari potrebbero ora trasgredire alla regola di emendare solo entro il perimetro degli accordi tra partiti, dicendo chiaramente che è la doppia preferenza di genere il sistema che garantisce i migliori risultati e la maggiore libertà per gli elettori). Comunque, il tema proposto da Snoq libere, e ripreso su l’Unità da Sara Ventroni, è molto più impegnativo, cruciale, e ricomprende al suo interno la questione democratica. L’omologazione è la grande minaccia del nostro tempo. E la differenza femminile è uno straordinario strumento di difesa. Un’opportunità offerta alla società intera. Solo che la società sappia usarla, e non cerchi di cancellarla per ignoranza, per paura, magari con violenza.
L’omologazione oggi non è sospinta da un potere coercitivo. I poteri hanno volti seducenti, usano la forza del denaro, le opportunità offerte dalla tecnica, la persuasione del pensiero unico. Ma il paradosso del nostro tempo è che l’omologazione viaggia anche sui binari delle nostre libertà. Le libertà hanno rotto tabù, gerarchie, barriere. Hanno promosso diritti, mobilità, espansione. Ma non hanno impedito l’aumento delle diseguaglianze, e oggi ci scopriamo sempre più impotenti sulle decisioni che contano davvero. L’iper-democrazia può trasformarsi in dispotismo. Gli strumenti a nostra disposizione ci danno un senso di onnipotenza. Eppure in tanti si sentono disperati. Onnipotenti e disperati: è il brodo di coltura dell’individualismo nichilista, l’anticamera della solitudine, la premessa dell’omologazione.
La libertà femminile ha dato in questi decenni un senso nuovo all’eros, all’amicizia, all’amore. Non è stata, non è affatto indolore per gli uomini. La nostra vita è stata percorsa da cambiamenti profondi e veloci. Che hanno prodotto ferite. E il terremoto continua. Ma la differenza resta una ricchezza, una possibilità di riscatto. Per le donne e per gli uomini. La spinta omologatrice reagisce alla differenza proponendo sfumature del neutro. Neutro-maschile, dice il documento di Snoq libere. In ogni caso la negazione delle differenze è ragione di violenza, di sopraffazione. Le modalità del neutro sono l’altra faccia di un’atomizzazione funzionale al dominio dei capitali impersonali: e rischia di diventarlo anche il radicalismo dei diritti soggettivi, se questi si separano dai diritti sociali, dal senso dei doveri, dalla percezione dell’altro.
Non abbiamo paura del futuro, del mondo, della forza generatrice positiva della scienza. Ma l’umanità deve guidarla. Non essere sottomessa. C’è il rischio di una nuova schiavitù: è cieco chi non lo vede. Ecco perché la differenza di genere è oggi una speranza. La speranza di una cultura nuova. Che abbia il coraggio di partire dall’amore e dalla libertà delle donne e degli uomini. Che costruisca reti di solidarietà tra persone, e non soltanto tra individui. La differenza di genere non esclude le altre diversità ma le comprende, essendo la più radicale e la più procreativa. È aperta alla vita, all’amicizia, al dono, alla gratuità più di ogni altra cosa. Sprigiona forza di cambiamento, voglia di futuro, valori da trasmettere ai figli. Invece viviamo in una società opulenta, che ora teme il declino, ma che da tempo ha smesso di generare. Anche la denatalità è agente di omologazione. Accorcia l’orizzonte. Toglie trascendenza al pensiero e all’azione. L’invecchiamento della società è complice della dittatura del presente e del furto di speranza e di futuro.
Viviamo in un Paese che ha le più deboli politiche per la famiglia, e al tempo stesso non ha neppure una legge che riconosca i diritti delle unioni omosessuali. Abbiamo bisogno di entrambe le cose: invece ci fermiamo agli scontri ideologici. Un cammino insieme di donne e uomini liberi, di madri e padri, di giovani che vogliono vincere la paura, è necessario. È il solo modo per tornare davvero a «crescere». La sfida lanciata l’8 marzo ha una fortissima politicità. Anche la sinistra dovrebbe sentirsi sfidata: senza una nuova stagione di solidarietà tra uomini e donne, non ci sarà una nuova stagione della sinistra. È un illusione pensare che basti il potere per cambiare questa società dopo la lunga egemonia turbo-liberista.
L’Unità 16.03.14