I titoli del «piano lavoro» di Renzi hanno avuto un primo svolgimento. Di chiaro e positivo c’è la riduzione del prelievo fiscale dei redditi da lavoro e assimilati fino ai 25mila euro lordi. Sono poi annunciate sotto il titolo “semplificazione” alcune misure di immediata attuazione con decreto legge.
Sono misure in tema di apprendistato e contratto a termine. Rilevante è in particolare il tema del lavoro a tempo determinato, che è oggi la forma di assunzione largamente prevalente, nonostante che la legge italiana e le direttive dell’unione europea affermino che “il contratto di lavoro a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”. L’istituto del lavoro a termine è stato soggetto a partire dal 2001 a una serie di innumerevoli interventi che hanno reso la normativa particolarmente aggrovigliata e contorta, a seguito di modifiche di volta in volta orientate nel senso della liberalizzazione
ovvero della restrizione o, meglio, della disincentivazione. Tanto da essere oggetto di reiterati interpelli, pareri e circolari ministeriali. L’intervento annunciato introduce due modifiche molto rilevanti: vengono aboliti sia l’obbligo di motivare le particolari ragioni produttive che richiedono una assunzione a termine invece che a tempo indeterminato e gli intervalli temporali disposti tra successive e reiterate assunzioni a termine, introdotte fin dalla legge del 1962 al fine di inibire l’uso fraudolento dell’istituto. In tal modo ad essere schietti si realizza più che una “semplificazione”, certo necessaria, una pressocchè totale liberalizzazione dell’istituto, compensata dal fatto che verrebbe introdotto un limite quantitativo massimo di assunzioni a termine, fissato nel 20% dell’organico complessivo.
Resta da valutare, il che potrà farsi quando si conoscerà il testo del decreto legge, come tutto questo sia compatibile con la formula sopra citata, e di derivazione comunitaria, che definisce il lavoro a tempo indeterminato la “forma comune” di rapporto di lavoro. Tutte le altre misure annunciate dal jobsact in tema di mercato del lavoro verranno invece inserite in un disegno di legge delega. Il che per un verso è positivo, perché ciò consentirà una compiuta discussione pubblica sui temi trattati dalla delega. Per l’altro è negativo
perché è proprio attraverso le leggi delega e i successivi decreti legislativi che nell’ultimo quindicennio si è accresciuto quel caos normativo a cui ora si vorrebbe rimediate, in particolare in tema di ammortizzatori sociali, mercato del lavoro e pletora di contratti atipici e precari.
Viene ora annunciata l’elaborazione, entro 6 mesi dalla approvazione della delega, di un “nuovo codice semplificato del lavoro”. Impresa ardua, tanto suggestiva quanto ambiziosa. Si tratterà di verificare, quando si potranno esaminare i criteri della delega, se si tratta di un progetto mirato ad una autentica razionalizzazione delle normative esistenti, oppure se, come spesso risulta, dietro l’accattivante termine di “semplificazione” non si nasconda il disegno di una contro-reformatio del diritto del lavoro.
L’Unità 13.03.14