«La parità di genere diventerà legge al Senato».
E perché mai visto che il Pd l’ha affossata alla Camera dove avete ampia maggioranza?
«I partiti stanno riesaminando le loro posizioni per recuperare la rottura di ieri. Il premier Renzi è la dimostrazione nei fatti, e non a proclami, del coinvolgimento delle donne nelle giunte e nei consigli di amministrazione. Non ci sono dubbi circa il suo convincimento. E poi, tanto vale ammetterlo:al Senato non c’è il voto segreto e giochi e giochetti saranno più difficili».
Fiorentina, ricercatrice del Cnr, ex assessore della giunta Renzi, Rosa Maria Di Giorgi è stata eletta al Senato un anno fa ed è membro della Commissione parlamentare per la semplificazione. L’anagrafe la mette teoricamente fuori dal cosiddetto cerchio-magico renziano. L’esperienza l’ha fatta però essere tra le prime fedelissime del giovane sindaco.
Delusa per il voto alla Camera?
«È stata un’occasione persa che ha generato grande delusione. Non parlimo di quote meno che mai di colore rosa. È stata bocciata una norma che doveva correggere una grave discriminazione di genere in nome delle garanzie e dei diritti».
C’è un problema di diritti negati. Ma c’è anche un problema politico. Le deputate del Pd lunedì sera hanno protestato e lasciato l’aula. Condivide?
«In genere non amo i gesti eclatanti. Credo che non l’avrei fatto. Detto questo la sconfitta non è stata del Pd ma del Parlamento in genere e dell’Italia. Nel 2014 non siamo ancora in grado di votare una legge che garantisca alle donne pari accesso alla cariche politiche da cui discendono leggi e regole per la vita quotidiana di madri, mogli e donne altrimenti dimenticate».
Se Renzi è un sostenitore della parità di genere, perché non l’ha pretesa dal suo gruppo parlamentare?
«In questo caso il premier non agisce da solo ma nell’ambito di una maggioranza allargata che darà dei benefici perché sosterrà le riforme, ma ha anche dei costi perché costringe a compromessi. Insomma, è noto che Forza Italia e i suoi ambasciatori Brunetta e Verdini non hanno inteso cedere su questo punto e il premier non poteva cambiare unilateralmente l’intesa. È una questione di parole date».
Il fine giustifica i mezzi. C’era però l’accordo sul terzo emendamento che bloccava in percentuali del 60/40 la presenza di uomini o donne nelle liste. Perchè è saltato anche questo?
«Si è parlato di questo accordo nei corridoi del Parlamento ma nessuno lo ha codificato. Le deputate di Forza Italia hanno lasciato intendere lunedì pomeriggio che Berlusconi non sarebbe stato contrario. Nel momento in cui è stata deciso di lasciare libertà di coscienza al voto in aula, è stato chiaro però che nessuno degli emendamenti sarebbe passato».
Libertà di coscienza e voto segreto in un’aula a netta maggioranza maschile sanno di presa in giro. Non crede?
«È vero. Ma ripeto: quel patto non poteva essere cambiato unilateralmente». Torniamo al problema politico. Sono mancati 60 voti, quelli del Pd. Perchè non ha votato compatto?
«Diciamo che nel voto segreto si è potuta consumare qualche rivincita. È chiaro che qualche deputato nemico ha dichiarato in un modo e votato in un altro».
Il nodo dei franchi tiratori. Oggi le preferenze non sono passate per soli 10 voti. E Guerini ha chiamato in aula il governo per avere tutti i voti. Scene che si vedevano ai tempi di Prodi.
«Il recinto della maggioranza è quello che sappiamo, e il Parlamento è quello nato da un sostanziale equilibrio di tre forze. Però chiamarli franchi tiratori è concettualmente sbagliato: c’era libertà di coscienza, non il vincolo di voto. Vuol dire, piuttosto, che anche nel Pd c’è stato chi ha votato secondo coscienza contro i diritti delle donne».
Molte parlamentari si sarebbero aspettate un segnale forte e chiaro dal ministro Maria Elena Boschi che invece ha taciuto.
«È mancata, in questo difficile passaggio, una sua parola. Credo che un risultato l’abbia comunque ottenuto, ossia aver spuntato la libertà di coscienza. Ma non c’è dubbio che ci siano momenti in cui, pur con la prudenza per il ruolo istituzionale ricoperto, si possano dare segnali chiari di consenso. Questo era uno di quei momenti».
Il Senato correggerà l’Italicum?
«Introdurremo la parità di genere. Stiamo già lavorando al testo. Puntiamo sull’alternanza, un uomo e una donna o viceversa. La cosa migliore. Circa i voti, noi donne del Pd siamo 42 su un totale di 107 e i nostri senatori si sono già pronunciati complessivamente in modo positivo. Una riflessione dovrebbe aprirsi anche nel M5S. A palazzo Madama non è previsto il voto segreto e questo potrebbe determinare il cambiamento».
Altre correzioni?
«No, tutto il resto, soglie, sbarramenti, preferenze, appartengono a un patto che non può più essere messo in gioco».
L’Unità 12.03.14