Lo hanno battezzato con ironia «Bella Pompei, pizzeria forno a legna». Con malevolo sarcasmo una villetta abusiva costruita da un geometra della terra dei fuochi. È il restauro della casa del Criptoportico, il primo intervento del Grande progetto Pompei, che arriva dopo quattro lunghi anni dai grandi crolli del 2010 e lascia molte perplessità. Rischia di essere l’ennesima di- sfatta per il sito archeologico che da celebre sta diventando famigerato. Più che gettare la croce su qualcuno, occorrerebbe aprire una seria discussione.
Architetto viennese di nobile famiglia ungherese, Andràs Palffy è considerato per i suoi progetti uno dei guru del restauro architettonico internazionale e non ha dubbi: «L’intervento sul Criptoportico mi sembra distrugga più di quanto non conservi». La premessa è che «In ogni restauro occorre differenziare ciò che è storico dalla struttura che lo conserva: in questo caso ci troviamo di fronte a una ricostruzione in stile disneyano, ma realizzata con mezzi modesti. Se oggi è possibile distinguere i mattoni moderni da quelli antichi, tra due anni quanti visitatori saranno in grado di farlo? Pochi credo».
A stupire Palffy è che «Pur con mezzi semplici si possono realizzare grandi idee, che in questo caso sembrano mancare. E manca anche la grande cultura del restauro italiano». Le idee di Palffy sembrano trovare involontaria conferma nelle parole del responsabile del restauro, l’archeologo Ernesto De Carolis, che spiega come questo progetto nato nel 2007 volesse tenere conto, storicizzandoli, dei precedenti restauri del 1911, quando il Criptoportico venne scavato da Giuseppe Mollo e della fine degli anni 40, quando dopo la guerra si cercò di rimediare ai danni di un bombardamento: ma entrambi gli interventi o seguivano principi divenuti obsoleti o esigenze oggi inesistenti.
Aldilà del progetto, colpisce la realizzazione: «Il risultato è assolutamente inatteso, anomalo e sconvolgente rispetto all’attenta attività di tutela e di cura che ci si attende per un luogo archeologico così consacrato – spiega il professore Marco Dezzi Bardeschi architetto, restauratore, teorico del restauro e sicuramente uno dei più illustri eredi di quella tradizione italiana cui faceva riferimento Palffy.
È impressionato Dezzi Bardeschi per come: «Il monumento/documento (il Criptoportico ndr) sia stato irreversibilmente manomesso dall’intervento, nella sua fragile e precaria consistenza materiale, ben oltre ogni limite del rispetto dovuto al sopravvissuto e alla compatibilità delle parti aggiunte (la nuova copertura di protezione)».
La sua disamina tecnica riguarda l’estensione della presunta restituzione della volumetria originaria e delle «reintegrazioni» murarie e le nuove strutture delle coperture in legno lamellare, davvero fuori misura, e le coperture stesse: «Se questo è il primo della attesa serie dei cinque interventi è un preoccupante (e irreversibile) segnale d’allarme di ciò che, a mio avviso, proprio non si dovrebbe mai più fare: le immagini sono più eloquenti di ogni possibile parola». Dezzi Bardeschi indica un ulteriore punto critico, la modalità dell’appalto «condotta con la logica del massimo ribasso». E non ha torto: l’intervento, costato appena 300 mila euro, è stato aggiudicato con un ribasso di oltre il 56 %, cosa che ha insospettito la procura di Torre Annunziata che, dopo una denuncia dell’Osservatorio su Pompei, ha aperto una inchiesta su questo e altri due appalti aggiudicati sotto il 50% del preventivo.
«Il problema di questo restauro è l’essere stato affidato a muratori e non a restauratori specializzati» spiega, colpito anche lui, Francesco Prosperetti, ultimo Direttore Generale per l’architettura contemporanea del Mibact, e ora alla testa della direzione regionale calabrese.
Effettivamente l’intervento è un Og2, sigla corrispondente a un restauro edile, che possono svolgere le ditte adibite alle riparazioni delle strutture murarie «e non superfici con 2000 anni di storia – insiste Prosperetti -. Quindi si scelgono ditte edili, mentre quelle di restauro italiane, le migliori al mondo, restano senza lavoro e stanno fallendo. Più che al ribasso si poteva puntare all’offerta migliorativa o all’appalto integrato, per apportare migliorie a parità di costi. A Pompei non ce la possiamo cavare così: e le risorse, una volta tanto, ci sono».
L’intervento sul Criptoportico, benché progettato 7 anni or sono, oltre che al ribasso sembra ubbidire anche a una fretta indemoniata: realizzare qualcosa da dare in pasto ai media dopo ben 4 anni dai grandi crolli del 2010, tra cui quello divenuto celeberrimo della casa Armaturarum. E non a caso, mal- grado sia ancora incompleto – mancano la parte decorativa – l’intervento è stato presentato proprio nei giorni di febbraio in cui ricominciavano i crolli.
«La verità è che tutto il Grande progetto è sbagliato: un assemblaggio di progetti fatti da persone e in epoche diverse, senza una vera strategia complessi- va per Pompei» osserva con disappunto ma non senza fondamento Maria Pia Guermandi di Italia Nostra.
Per gestire i 105 milioni di euro di fondi europei, cifra cospicua ma non enorme, è stata costruita una poderosa macchina burocratica e barocca con quattro ministeri, un prefetto, la procura antimafia, Invitalia, i rappresentanti degli enti locali e ora, per non farsi mancare proprio nulla, perfino Finmeccanica. Ma nessuno ha pensato alla cosa più ovvia: un gruppo di lavoro con i più importanti pompeianisti in circolazione che, affiancati dal personale tecnico della soprintendenza, stilassero un piano organico di interventi rapido ed efficace.
Il comunicato che illustra le prime decisioni adottate dopo una riunione con il ministro Franceschini a seguito degli ultimi crolli appare ancora esitante: «Fuffa, in gran parte – taglia corto Guermandi -, senza nulla di nuovo e strategico. Si pensi ad esempio alle “app” commissionate a Finmeccanica, oppure al piano diagnostico che oltre a costare la bella cifra di 8,5 mln di euro, sarebbe pronto quando oramai i tempi per usare i fondi europei saranno scaduti, il che avverrà tra appena un anno. L’unica cosa seria è la messa in sicurezza delle “Regiones” III e IX, ma se ne parla già da due anni come una urgenza e si mo ancora qui».
Tra le misure deliberate c’è la destinazione di 2 milioni di euro per le emergenze: ma fino a 200mila euro per ogni intervento le emergenze non avrebbe- ro bisogno di autorizzazione, e potrebbero essere deliberate dagli stessi tecnici (archeologi e architetti della Soprintendenza) con affidamento diretto senza gara. Eppure, malgrado i ripetuti crolli, questi interventi a Pompei non vengono fatti da anni. Il che riporta a una Soprintendenza, quella di Pompei, Ercolano e Stabia, calcinata da anni di confusione, tra commissariamenti, accorpamenti con la vicina soprintendenza partenopea funzionali a svuotare le casse del sito, e poi da successive separazioni – la più recente risale all’ottobre scorso -, e un personale amministrativo per questo andirivieni oramai in confusione.
Insediato qualche giorno fa il nuovo soprintendente Massimo Osanna: sulla cui nomina pendono numerosi ricorsi alla Corte dei conti. Gli è affiancata la unità operativa, ma per ora inoperante, del Grande progetto Pompei, diretta dal generale dei Carabinieri Giovanni Nistri e dallo storico dell’arte Fabrizio Magani. A loro spetterebbe svelenire la macchina e farla ripartire, o meglio: farla finalmente partire. Perché ai crolli si susseguono governi e ministri, ma per Pompei è sempre l’anno zero.
L’Unità 11.03.14